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MAURIZIO MAGGIANI

Cristo senza volto

Sono in Garfagnana, la terra dei miei cugini silvestri, la mia casa ancestrale. Giovedì notte a Castiglione ho partecipato a un rito molto antico e molto coinvolgente, e commovente: il Cammino del Crocione. Fa parte delle molte tradizioni della Settimana Santa della cristianità etnica, ma ha una sua singolarità, è una Via Crucis molto particolare, oltre al fatto che si svolge un giorno prima dello stabilito. Il Cristo che porterà la sua pesante croce per le erte vie del paese è un ignoto. Viene estratto a sorte tra i candidati che si presentano durante l'anno alla Confraternita del Crocione e segretamente viene preparato fino a che, incappucciato fa il suo ingresso nella chiesa. Lì, Giuda lo bacia e lo tradisce, lì viene bastonato, gli vengono poste delle catene ai piedi, viene caricato della croce e spinto fino al suo Golgota, non senza essere caduto per strada almeno tre volte. Assiste tutto il paese al suo cammino, tutto, dai ragazzini del centro sociale ai vecchi legnaioli, ma per quanto dura il rito altro non si sente che levarsi in aria il rumore delle sue catene, l'affanno del suo respiro e l'afflato di pena e dolore della gente che gli cammina accanto. A me così urbano e sofisticato questo antico rito di montanari insegna qualcosa di profondamente, intimamente cristiano. Il Cristo non ha da avere volto, immagine, identità. Il Cristo, per sua stessa voce, è in tutti quelli che soffrono ingiustizia e cattività, fame e solitudine, malattia e fame. L'incappucciato e incatenato del Crocione è l'alfiere della moltitudine di poveri cristi.


Quei poveri cristi che si presentano al nostro cospetto per riscuotere la cambiale che l'umanità dei credenti ha firmato col figlio di Dio duemila anni or sono sulla Collina dei Teschi. Viene a pretendere ciò che gli spetta: fraternità, giustizia, amore, pane. Pietas. Pace. La Passione a cui ho partecipato a Castiglione si svolge non in un altro contesto, ma in un altro universo, culturale, religioso e ideale, da quello della Passione in programma nelle multisale di tutto il mondo. Per quanto mi riguarda io sto bene qui, al fianco del Cristo garfagnino non lì, al cospetto del Cristo di Arma Mortale. Alla fine della processione mi sono fermato a parlare con un frate, un uomo che per vivere la sua fede si è messo in viaggio dalla Sorbonne di Parigi per fermarsi alla fine tra queste montagne. Abbiamo parlato della Passione dell'oggi, abbiamo parlato della guerra, della Pace. Abbiamo scoperto di avere un'abitudine in comune: ambedue usiamo il meno possibile la parola Pace. Perché la si preservi, almeno per quanto è in nostro possesso, dal rivoltante processo di mistificazione, di prostituzione, di dissoluzione a cui è condannata dai padroni della parola. Si, ha detto il frate, Pace è una parola che mantengo con cura, una parola da usare la domenica. Oggi è la domenica della Pasqua cristiana. Per favore, vi prego, oggi più che mai che stringerete in abbraccio il vostro sconosciuto vicino augurandogli con quello che rimane del vostro cuore: la pace sia con te, oggi che affetterete la colomba glassata senza poter fare a meno di ricordare che ciò che metterete sotto i denti è la silohoutte della colomba di pace, considerate da quanta sporcizia è sommersa questa parola, quanto è stata traviata e con quanta violenza la si è scarnificata del suo senso, della sua materia. Anzi, non nominatela invano; cercate di usarla il meno possibile questa parola, a risparmiarla più che potete. Dico a voi che credete ancora in qualcosa di sacro e ritenete che ci sia il sacro nelle parole di verità e ignominia nella menzogna. La pace non è uno slogan pubblicitario, non è retorica politica, non è la "mia" pace. La pace è concreta materia della vita, allo stesso modo, e opposto, della guerra. Non è un indefinito auspicio politico, ma un ben definito stato delle cose. Un bambino che si nutre, che agisce con gioia, che accede al sapere è un bambino che vive nella pace. Un bambino che muore sotto un colpo di cannone è un bambino che muore nella guerra. E se qualcuno, fosse anche il beneamato presidente della Repubblica di questo paese, ha l'ardire di proclamare portatore di pace il soldato che ha premuto l'otturatore di quel cannone, anche il beneamato presidente prostituisce la parola Pace al mercato di una retorica priva di verità. Anche se quel soldato si fosse prodigato a distribuire biscotti affacciandosi dal suo carrarmato fino al giorno prima. I biscotti conservati nella stiva di un carrarmato sono biscotti del tempo di guerra non del tempo di pace. Non voglio sentirmi dire da un cappellano militare: la pace sia con te, non voglio sentirmi dire da un ministro in giubbotto antiproiettile: siamo qui a portare la pace. Ma la ascolto con cuore aperto nell'affanno dell'incapucciato Cristo di Garfagnana.


Maurizio Maggiani - IL SECOLO XIX - 11/04/2003


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