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La città perduta |
Mi hanno regalato un libro con dentro delle poesie e delle fotografie. Si intitola Prima della Rivoluzione, e in questi giorni l'ho tenuto un bel po' tra le mani. Non è questione della rivoluzione, che non sono tempi questi da rivangarci su, ma di città, di questa città. Le fotografie sono vecchie di quarant'anni ma dentro c'è la città nuova, la magica città del serpe collinare che da Di Negro al Bisagno inghirlanda Genova e ne delinea la linea del cielo urbano dall'alba degli anni Sessanta.
La chiamano la grande speculazione, o sacco, o devastazione, ma non sono aggettivi peggiorativi che ne rendano adeguata giustizia; probabilmente non ci sono le parole adatte per quella città: dentro le parole del dizionario ci sta troppo stretta. Io la conosco, ci passeggio dentro, da Lagaccio e Oregina fino a Begato e Quezzi. Le sensazioni che provo attengono all'ambito dello spirito molto più che a quello dei sensi: è, quella, una città spirituale, che induce a visioni psichiche. Sono arrivato alla ragionevole certezza che gli imprenditori edili che l'hanno costruita, gli architetti - o geometri, o ingegneri - che l'hanno progettata, per pensarla e volerla in quel modo abbiano dovuto essere consumatori abituali di sostanze psicotrope. Solo una mente preda di visioni indotte dagli allucinogeni può aver modellato quel cemento. Per l'arditezza dell'assurdo architettonico, per il coraggio ingegneristico privo di qualsivoglia inibizione morale ed estetica, per la disumanità - o ultra umanità - dell'idea stessa di abitare, di vivere.
Non è bastato essere degli speculatori senza scrupoli per aver costruito via Bari o reinventato via Oregina, bisogna essere stati anche strafatti di pejote o LSD. Per inciso, per aver firmato le delibere necessarie, le varianti doverose, i verbali di commissione edilizia come da legge, bastava probabilmente essere dei criminali politici. Procuratevi una copia di quel libro e guardate con tutta calma quelle immagini, se non avete gusto come me di andarci in gita. E non parlo, naturalmente per quelli che ci vivono, che ci sono andati a vivere, che hanno mandato a viverci, che altro non hanno potuto scegliere che quella città. Loro, gli abitanti, sono gli unici esseri umani normali di tutta la catena alimentare della Grande Speculazione, gli unici umani aventi diritto. Per quanto si possa essere umanamente appagati dentro una vita che si affaccia su una scarpata di cemento alta fino al cielo.
Eppure si vive anche lì, anche tra le scarpate. Guardate quelle foto: la gente, il vivere, ha colonizzato il cemento più veloce e pervasivo della gambarossa o della malvasola. I bambini giocano dappertutto, ovunque si conforma una comunità, anche una muraglia invalicabile può essere domata da un filo, da mille fili, per stendere panni. E i panni hanno colori.
Guardatevi quelle vecchie foto -e, ripeto, parlo a chi lì non ci vive, parlo a quelli come me che vivono nella città della complicata bellezza, che andando a casa si godono le luci della via Aurea, la pietra serena di Sant'Anna - e tenete a mente: quella città esiste, è qui, è la nostra città. E sono decine di migliaia gli abitanti della "fascia del delirio"aventi diritto di cittadinanza. Dopodiché considerate quanto del rinascimento della città, quanto della capitale europea della cultura è stato e sarà speso e inventato e fatto per quella città che è senza dubbio la nostra. Forse ciò che è stato fatto è irreparabile, forse, essendo disumano non è umanamente aggiustabile. Forse. C'è dunque sulla collina una città perduta? Una città che è e sarà sempre "fuori dal giro"? Dove non passa il Giro d'Italia, e non passano i creatori, i progettisti, gli animatori, gli amministratori del rinascimento. Che si godrà il rinascimento dall'alto, adocchiando laggiù dagli spiazzi odorosi di malvasola le luci della via Aurea, i magnifici spettacoli, i fantasmagorici progetti, i cortei di limousine dei nobili visitatori.
Quando il presidente della Commissione Europea è venuto in visita nella città, è stato presentato ad alcuni eminenti cittadini, introdotto in diverse nobili dimore, iniettato in pittoreschi vicoli, ma nessuno si è nemmeno sognato di portarlo nel vagheggiare di Begato, di farlo passeggiare nelle strade senza marciapiede ma pur sempre affascinanti di Lagaccio. Dove vive con dignitosa ed eroica umanità una vasta comunità di cittadini che molto avrebbe da far pensare al Commissario e a tutti i candidati d'Italia. Ci vive a dispetto della disumanità di quei siti, costruiti in oltraggio alla dignità forse proprio da qualcuno di quei nobili ospiti, o dai loro padri. Ci vive e non mi risulta che ci sia architetto ambizioso e geniale che abbia speso un'ora della sua inventiva per dedicarci, non dico un progetto, ma un solo pensiero, prima di metterci una croce sopra. È troppo fuori dal giro lassù.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 09/05/2004
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