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MENO TASSE |
Sono
stati conquistati grandi regni senza colpo ferire con la storia di
far pagare meno tasse e grandi regni sono stati salvati in extremis
grazie alla stessa storia. Del resto trovatemi un umano sano di mente
che non arda dal desiderio di pagare meno imposte.
Per molti tra
noi, pagare un po' meno tasse compendia l'impegno di tutta una vita.
Sono seimila anni che è così, a leggere le antiche
fonti. E da altrettanto tempo si scontrano, a occidente e a oriente,
al nord e al sud, due contrapposte scuole di pensiero sul punto
cardine, sulla questione principe: a chi far pagare meno tasse?
Perché l'idea che nessuno le paghi non è utopia, ma
puro delirio.
Prima scuola, la più in voga, la più
arzilla, la vincente dai tempi di Nabucodonossor fino alla
rivoluzione francese, insegna così: paghino meno i ricchi. Più
i ricchi sono ricchi, più i poveri troveranno gran quantità
di avanzi sotto le loro tavole. Ai poveri le briciole fanno buon pro,
e se gli rimane un po' di appetito, meglio, che così non
pensano ad altro che a cercar briciole e non hanno tempo per uggiosi
pensieri. Che mi risulti, l'ultimo statista che ha pronunciato
davanti a testimoni queste parole precise è stato il grande
imperatore abissino Ailé Selassiè.
Di norma, nei
tempi moderni, questa teoria viene enunciata con termini meno terra
terra, ma la sostanza rimane: se i ricchi spendono tanto c'è
bisogno di un mucchio di operai che fabbrichino le cose che loro
comprano. L'occupazione aumenta e alla fine tutti vanno a star
meglio. Naturalmente a sostenere questa teoria sono i ricchi e gli
economisti e i governanti a loro vicini. Il presidente Reagan, il
primo ministro Thatcher, sono stati dei grandi profeti di questa
idea. La seconda scuola dice così: facciamo pagare il meno
possibile i poveracci e il ceto medio. In questo modo decine di
milioni di cittadini, e non solo un pugno di privilegiati, potranno
soddisfare i loro bisogni. Non potranno mai comperare auto di lusso o
yacth, ma una quantità straordinaria di beni e di servizi
utili e interessanti.
Saranno milioni di persone più felici
e più sane, disposte all'ottimismo e a lavorare meglio e di
più. In questo modo anche i ricchi avranno il loro tornaconto.
Continueranno a pagare molte tasse ma i loro guadagni saranno
maggiori perché le loro aziende produrranno di più e di
meglio. Sempre che si tratti di ricchi "produttivi", perché
i ricchi "speculativi" non avranno niente da guadagnarci,
anzi. Ma a noi le ricchezze accumulate tramite speculazione non ci
garbano affatto, così dicono quelli della seconda scuola. Che,
naturalmente, è sostenuta dai poveri e dai loro rappresentanti
politici e dagli economisti che li hanno in simpatia. Va detto che
questa seconda scuola è assai più giovane della prima e
assai meno potente oggi come oggi.
In verità fino a poco
più di cento anni or sono, i poveri tendevano a risolvere la
questione delle troppe tasse facendo, quando proprio non ce la
facevano più, una rivoluzione. Spesso gli andava male, qualche
volta invece bene, ma alla fine hanno considerato che mettere su una
scuola di pensiero e provare a farla primeggiare era senz'altro più
economico e soddisfacente di un putiferio dagli esiti a dir poco
nebulosi. Delle due scuole quale è quella che ha ragione?
Secondo i ricchi la prima, secondo i poveri la seconda. Io ad
esempio, che non sono ricco, credo fermamente nella seconda scuola.
Così ho pianto alla morte di Willi Brandt e non a quella di
Reagan. I poveracci d'America - anzi, i poveracci di tutto il mondo -
hanno ancora vivida memoria di quanto si fossero trovati
improvvisamente molto più poveri a decine di milioni ai bei
tempi di Reagan, mentre i ricchi sostengono che quella si che era
Economia. Perché l'economia, come tutte le cose del mondo, non
è una roba astratta, non è un valore universale, ma,
semplicemente, un buon modo per capire a chi vanno, e devono andare,
in tasca i soldi. I quali soldi, come tutto ciò che appartiene
alla materia dell'universo, non si creano né si distruggono,
ma si costruiscono, trasformando il lavoro e l'ingegno in beni ed
servizi da vendere e comprare. Qualunque sia la teoria applicata,
un'economia è forte per chi ha il portafoglio pieno per quello
che ha venduto e debole per chi ce l'ha vuoto e non può
comprare.
Dopodiché urgerebbe una domanda: se un impiegato
sborsa all'erario, utopisticamente parlando, 250 euro di meno
all'anno, quanto dovrà pagare di più per la scuola di
suo figlio e per la cura di suo suocero? Solo per parlare di due
delle molte cose che lo stato deve, o dovrebbe, fornire ai suoi
cittadini in cambio delle tasse che gli versano.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 11/07/2004
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