| BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | | LA GATTERIA |
| IL PORTO DEI RAGAZZI |

MAURIZIO MAGGIANI

SANTARELLINA FLORIDORO FELICE DI VIVERE



Ho conosciuto in una piccola vecchia casa di un remoto paese di Garfagnana una piccolissima vecchia signora. Si chiama Santarellina e ha una bella e vaporosa permanente color mogano, due pendini di oro antico ai lobi delle orecchie e un largo sorriso lucente di due capsule d'oro. La signora Santarellina mi ha parlato nella sua lingua garfagnina seduta nobilmente eretta, muovendo l'aria intorno a sé con le sue piccole mani ossute perché potessi meglio capire concetti distanti, e mi ha così raccontato la sua storia. È un nome da orfana Santarellina Floridoro, un bel nome da trovatella. La sua orfanità è finita a otto anni, quando una famiglia di contadini se l'è presa per fare i mestieri in una casa di molti uomini e niente serve. A dodici anni è sembrata così robusta e capace che un'altra famiglia contadina se l'è presa per fare i lavori pesanti del bosco. Così fino ai vent'anni Santarellina ha curato la selva di castagni e ha portato i suoi carichi. Alla stagione sua, una cesta di cinquanta chili di castagne dal bosco al metato in alto, dove le castagne vengono messe ad affumicare, e da lì al mulino dove diventano farina.

E a vent'anni era già pronta per migrare, presa da un'altra famiglia con maggiori ambizioni di fortuna. Per trentacinque anni e dodici ore al giorno, Santarellina ha fritto fish & cips a Newport. Non ha chiaro che paese fosse Newport e quanto fosse bello, perché non ha mai avuto il tempo per dargli un'occhiata, ma ricorda come d'estate friggesse per i turisti anche due quintali di pesciolini e due di patate in un solo giorno. E poi, nel cuore della sua maturità cinquantacinquenne, con i polmoni un po' troppo saturi d'olio e una borsetta con dentro un pacchettino di sterline, si è affrancata dalla servitù, è tornata al paese e ha messo su un commercio, uno di quei negozietti di montagna dove in due metri quadrati trovi quel poco e il tutto che serve a tirare avanti una vita e una casa. Finché anche quell'età è finita, e adesso Santarellina vive di tutto ciò che è, di tutto ciò che ha fatto. Racconta di quando portava castagne nella notte del bosco salendo il monte con gli zoccoli che battevano sulla pietra serena. Racconta del peso, della fatica, del dolore, del silenzio e dei lupi. Racconta della sua solitudine -"sono nata vedova, io"- e del suo orgoglio -"mi dicevano da bimba che mi sarei fatta gobba per i pesi e invece sono ancora diritta". E racconta una quantità di storie, così che la sua vita mi sembra gigantesca, monumentale, infinita. Ma nel suo racconto, e negli occhi e nelle mani e sulla bocca, non trovo mai ciò che sono indotto a cercare: la traccia di un dolore intollerato, di una tragedia soverchiante, di una miseria disumana. La signora Santarellina sembra unicamente compresa del fatto, inoppugnabile, di essere oggi, qui, gioiosamente viva. E questo successo -straordinario ai miei occhi- fa giustizia di ogni altra cosa; riduce a puro accidente quello che, anche solo ad averlo succintamente scritto, non può che apparirmi come tragedia di miseria, di ingiustizia, di malvagità. Mi sorprende come Santarellina racconti la storia della sua vita in perfetta coscienza e assolutamente priva di rancore. Gioiosa e magnanima perché vittoriosa; non solo abbastanza forte per portare pesi, ma più forte di ogni peso sopportato.
E mi rendo conto di quanto la vecchia, eretta, ricciuta Santarellina, sia più forte di me. Di me che non riesco ad essere né più grande né più forte dei modesti danni che la vita mi ha inflitto. Che ci navigo dentro quei danni come se il rancore fosse una risorsa, e la coscienza di ciò che sono, di ciò che è stato, dovesse alimentarsi dell'insostenibile morso dei pesi che ho portato. E so anche di non essere solo in questa debolezza. Direi addirittura che siamo i più. Forse non è giusto chiederci di essere grandi come Santarellina, forse non serve neppure a quanti tra noi non hanno dovuto né dovranno cimentarsi nella vita come lei ha dovuto. Ma mi chiedo cosa ci potrà essere di buono in un vecchio signore, come spero di arrivare ad essere, che racconta le sue storie senza il sorriso di Santarellina, senza la schiena diritta, senza la sua gioiosa coscienza. E mi viene da credere che se nel corso di questo secolo e di queste generazioni qualcuno potrà incontrare ancora una signora Santarellina sarà assai probabile che la troverà altrove da qui. facilmente tra quegli uomini e quelle donne che saranno sopravissuti ai naufragi, alle deportazioni e al disprezzo, quelli che chiamiamo disperati e da cui ci difendiamo come dai lupi Santarellina. Quelli che ci sembra impossibile possano sopravvivere ai pesi che noi stessi infliggiamo loro. Qualcuno almeno tra loro sopravvivere, invece, e qualcun altro lì starà ad ascoltare, e continuerà ad imparare.





Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 25/07/2004


| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO |
LA POESIA DEL FARO|