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Cristo è risorto malgrado le mail |
Ho passato un inverno non non facile e mi domando chi se la sia davvero spassata questo inverno. Qualcuno da qualche parte, di certo, ma non tra gli amici che incontro per strada che ancora tossiscono alla cattiva, e nemmeno tra la gente del quartiere che sbircia le prime gioie di primavera nella vetrina del bisagnino e tira dritto.
Ma comunque sia l'inverno è finito: ieri mattina sono arrivati i pettirossi a prendere possesso dell'ulivo del mio terrazzo e d'ora in poi saranno implacabili questuanti di briciole per tutti i lunghi mesi delle mie colazioni all'aperto. E se anche il cielo è bigio, lo è di vapori tiepidi e madidi di spore, e dalla finestra socchiusa il ronzio che sento non è più quello della vecchia calderina che tira a farcela ancora per un po', ma sono i bombi che si sono appena svegliati dal loro incosciente inverno.
Stanno discutendo se sia il caso di darsi da fare con i fiori appena sbocciati del rosmarino o entrare in casa a chiedere con i loro pessimi modi una proroga del gratuito affitto del sottotetto.
Sulla crosa la mimosa è ancora tutta un abbaglio; erano anni che non accadeva più di marzo, e nella confusione non saprei dire se quella che mi sta tirando su il morale sia una primavera tardiva, o sono io che mi faccio sorprendere ancora una volta impreparato. Ma intanto è primavera e oggi sarà pasqua. E io ancora la Pasqua me la veda ancora come nel libro della mia prima elementare. Con le rondini, i fiorellini, le campane e i pazzi conigli marzolini. Perché è di un po' di dolce primavera dopo gennaio pieno di neve e febbraio ancor più, tepore dopo il freddo. E non importa niente l'effetto serra, perché il freddo da qualche parte, dentro, alligna inattaccabile, tetragono a qualsivoglia mutamento climatico. Sì, di questo ho bisogno: di una dolce Pasqua, provarmici ancora una volta a rinascere, a risorgere dal cumulo di immondizia in cui mi sono annegato questo inverno.
E del mistero della resurrezione del Cristo. Questo colgo sopra ogni altra cosa: il fatto che io sento e desidero ardentemente che sia potuta accadere. Contro ogni ragione, a dispetto dell'eterna umana disperante certezza della sconfitta, il nazareno è risorto. E non importa che lo sia cristiano o miscredente, nestoriano o cattolico romano; ciò che mi fa fare Pasqua ogni anno, a modo mio con pia dedizione, ma di una fede più primitiva e vera; se posso dirlo, di ogni qualsivoglia dogma dottrinale: il Nazareno è risorto per dirmi che la storia degli uomini, e di Maggiani tra loro, non finisce inchiodata su una croce. Non sempre, non necessariamente, anche se a battere i chiodi è il più sapiente dei Sinedri, il più potente degli imperi.
Come, immagino, decine di migliaia di altre persone, ho ricevuto nei giorni scorsi una mail di un tale che con dovizia di particolari e profusione di scienza vuole inequivocabilmente dimostrarmi che il Cristo non è mai esistito. Non storicamente, dice e precisa. Lo fa con il piglio del precettore pedante, del dotto da circolo della caccia, dello scienziato pazzo che se n' é fatta una passione di aver inventato l'elicottero senza che nessuno se ne sia accorto. Il fatto è che quell'uomo si è fatto una passione di qualcosa che è più inutile agli occhi miei non potrebbe aver escogitato mente, sana, umana. Il Nazareno è qui, in casa mia in questo momento: è la parte migliore di me che domani, forse, potrà imitarlo. Caso mai un pugno di Zeloti, o di Boanerghes, si fosse inventato tutto, bé, è stata una magnifica idea. Ma che importa davvero chiederselo? I pilastri che reggono da molte decine di migliaia di anni le nostre esistenze, le fedi e i sentimenti che ci danno la forza di vivere e l' irragionevole ragione per farlo con dignità, quando diventano domande non hanno possibilità di risposta. Né in positivo, né in negativo. E così, credo, deve essere, visto che sono proprio quei pilastri a darci la forza per fare e farci tutte le migliaia di domande che vengono dopo, e che pretendono risposta. E che la devono avere.
E più ridicolo del tale della mail, mi è sembrato ieri l'altro mattina un programma della tv, ramo culturale, che in cinquantacinue minuti ha fornito la prova, scientifica, dell'esistenza del Cristo. Lo ha fatto come la televisione pensa che si debba dimostrare qualsiasi cosa: la bontà di un assorbente, la grandezza del primo ministro, la correttezza di un calcio di rigore. Tono stentoreo, annuncio sensazionale, gesto ampio del giureconsulto, sguardo liquido fisso sulla giuria popolare. Immagini del niente che diventano reperti di immenso valore, citazioni sciorinate in spudorata libertà: l'antica maestria dei venditori di pentole antiaderenti e di coltelli tagliatutto che girano ancora per i mercati. Come se una realtà e una verità debbano essere depravate per diventare accessibili al grande pubblico. Come se non bastasse informare, ma fosse necessario convincere. E convincere fosse il mestiere dei furbi, la somma arte degli astuti.
E se non fosse per i pettirossi qui fuori e il giallo della mimosa che vedo laggiù. Mi avrebbero quasi rovinato la mia dolce Pasqua.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 27/03/2005
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