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Così festeggio il 1° maggio superlotteria del lavoro |
Non l' ho mai fatto, lo giuro su quello che resta della mia dignità. Non l' ho mai fatto per dignità, appunto, perché ci ho sempre tenuto a pensare che avrei potuto vivere del mio lavoro, con le mie mani, grazie alla mia testa.
Non l' ho mai voluto fare perché ho
sempre avuto troppo orgoglio per accettare di cavarmela nella vita
con una scorciatoia, grazie a uno scherzo del destino, in virtù
di un colpo di fortuna.
E nemmeno l ho mai fatto per non dover
subire, all'ora stabilita, l'ignominia della frustrazione, il rancore
della delusione per non aver ottenuto ciò che neppure mi
spettava, ma che accettando l'inganno intrinseco al sordido gioco,
già facevo mio. Invece ora l ho fatto.
A dimostrazione che si può scendere indefinitamente in basso nella graduatoria della dignità, che è sempre possibile retrocedere anche avendo le spalle al muro, che ha ragione quello stupido, vecchio e consunto detto: mai dire mai. Ho comprato il mio primo biglietto del Superenalotto. Due euretti e mezzo per un foglietto con su stampati trenta numeri che non capisco neppure come andranno da qui a tre ore conteggiati. Me la caverò, immagino; quando sarà il momento saprò che genere di uomo sono, se sarò un deficiente che contempla basito un pezzo di carta da buttare, o un Unto della lotteria, con centoquaranta miliardi da andare a riscuotere a un indirizzo di Milano dove gli impiegati del più assurdo degli uffici statali aspettano da anni di sgravarsi da tutto quel contante. A quell'ora avrò già finito di scrivere questo articolo da un pezzo, l'avrò già spedito alla composizione, e voi non saprete da me chi sarò dei due, ma provate pure a immaginarvelo e a scommetterci sopra.
Centoquaranta miliardi; questa non è una cifra da contare in euro, ma in vecchie, buone, ammiccanti lire. Sono soldi tutti italiani quelli, neanche un po' europei. Soldi del duro lavoro made in Italy, sudore della fronte Italian style. In nessun Paese del mondo democratico e totalitario, in nessuna delle nazioni civili e incivili, si è osato mai tanto in fatto di incitamento alla onesta, virtuosa, proficua ricchezza.
Mai, ch'io sappia, si è celebrata in modo così solenne, significativo e promettente la festa del Primo Maggio. Perché caso vuole che oggi sia la Festa del Lavoro. Ma cosa volete che me ne freghi del lavoro di domani, se questa sera posso gingillarmi con un foglietto con su incisi i numeri del mio permesso di soggiorno nel paradiso degli ultramiliardari? Lavoro per chi, perché, dove, quando? Ma fatemi il piacere...Quella del lavoro sì che è pura illusione. La vincita del secolo non è mica in un documento programmatico buono sì e no per incartarci le acciughe; non dovete mica supplicare lo scagnozzo di un parlamentare, mica dovete farvi metterle mani addosso dal titolare dell'azienda per farvi dare il permesso di curare vostro figlio senza farvi sbattere fuori. La vincita del secolo è lì, sui teleschermi di tutto il paese, limpida e certa, trasparente e cash. Se deve esserci una festa oggi, che sia la festa del Supernalotto. E lasciate perdere il lavoro, che non c'è niente, nientissimo da festeggiare lì.
Mi ha telefonato ieri mattina un'amica per sapere come sto. Non sto niente bene, le ho detto. Neanche lei, se è per questo. Oggi, lo sa, passerà a curarsi il mal di stomaco in previsione di domani, lunedì. Lunedì' sarà un giorno infame, il peggiore di tutto l'anno, probabilmente. Lavora nell'ufficio personale di una mega impresa del settore viario, e domani dovrà telefonare a centinaia di uomini che verranno assunti per la stagione estiva. Uomini che lavoreranno duramente a sistemare strade nel solleone, pagati al minimo salariale. Tra loro c'è gente che da vent'anni sogna di essere messa a regime in un impiego stabile, sperando che l'azienda decida di essere un'impresa civile di un Paese civile. Non succederà neppure quest'anno e la mia amica si vergogna a fare quelle telefonate. Lo credo. L'azienda non è in difficoltà, è floridissima, potrebbe assumere quella gente e altra ancora senza lasciare i suoi azionisti all'asciutto di dividendi. Semplicemente all'azienda non gliene frega niente degli uomini che lavorano per lei. L'azienda, quella come centinaia di altre, vuole solo profitti da investire in immobili, in fondi, in altre società, in modo da garantire ai suoi azionisti l'estrazione annuale del biglietto vincente della loro privata superlotteria.
E domani forse sarà anch'io uno di loro. Con i miei centoquaranta miliardi potrò scoprire se mi sentirò meglio di oggi. Mi comprerò tre ville al mare, ai monti e in campagna, cinque o sei appartamenti in città strategicamente collocate nell'arte del vivere bene, aprirò call center in India, subappalterò sistemi informatici in Sicilia e investirò pure in qualche opa bancaria; tutto domani, tutto via internet off shore, future bond. Sì, un Primo Maggio da non dimenticare.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 01/05/2005
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