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MAURIZIO MAGGIANI

Odio le sveglie cinesi e vi spiego perché

Avevo bisogno di una sveglia. Non c'è niente di più impellente del bisogno di una sveglia: la sveglia sul comodino è l'oggetto più stabile di una vita, è la boa a cui saldamente fissare l'incognita di una giornata da iniziare, l'oggetto a cui dedichi l'ultima carezza della notte e la prima del mattino. Quando ti si rompe la sveglia quello che devi fare è uscire e trovartene un'altra prima che faccia notte. La mia si era rotta dopo vent'anni di perfetta dedizione per molte migliaia di puntuali risvegli: aveva avuto un cedimento strutturale. Il mio nipotino Richi aveva voluto condurre un test di impermeabilità; il test è fallito, la sveglia non era subacquea.


La marca era giapponese – i giapponesi, nel ramo delle sveglie, andavano alla grande vent'anni por sono – e sono andato in giro per cercarne una uguale, o una simile: un oggetto affidabile, semplice, durevole, di univoca interpretazione, sobrio e robusto, così come deve essere una sveglia e qualsiasi altra cosa che ti sta accanto per vent'anni, magari per tutta una vita, se i nipotini diventano grandi e la piantano con la mania dei test. Così la penso io circa le cose che sono essenziali. Non l'ho trovata, non esistono più sveglie sul mercato che corrispondano ai requisiti da me richiesti.

Ero disposto a spendere una cifra adeguata, ma non ci sono sveglie a cifre adeguate. Sul mercato ci sono solo sveglie cinesi. Di cento marche diverse, ma sempre e solo cinesi. A basso costo, ma cinesi, un po' più care, ma cinesi, ancora qualcosina in più di prezzo, ma cinesi. La prima l'ho buttata giù dalla finestra, le altre sono ancora qui, davanti a me. Le odio. Non ho nulla contro i cinesi e la loro antica e meravigliosa civiltà, ma odio le loro sveglie. Odio le cose che non funzionano, odio le cose che non dicono la verità, odio le cose che contengono in sé la loro precoce fine, odio le cose mal fatte.

La prima sveglia, quella defenestrata, costava poco; aveva dentro una signorina cinese che se pigiavi un pulsante ti diceva l'ora e i minuti. Te lo diceva come parlano i cinesi nei film: “Ole tledici e tlenta minuti”: Il segnale di sveglia era un gallo che faceva chicchirichì. Dopo tre chicchirichì, il gallo ha cominciato a prendersela comoda. Dopo una settimana da dentro la sveglia uscivano solo rantoli sconnessi su fusi orari distanti da quello di Amsterdam, Parigi, Roma, che si dà il caso sia fuso di riferimento della mia vita.

Come dicevo, mi sono saltati i nervi. La seconda sveglia, costava di più, è stata acquistata in un negozio specializzato in prodotti per escursionisti e tipi sportivi che girano il mondo. Era la più sobria dell'esposizione. Forma inequivocabilmente fallica con display per 15 (quindici) diverse funzioni – optional da me non appetiti, ma pare molto in voga – compreso un proiettore che schizzava sul soffitto una macchia biancastra che, a seguito di alcune regolazioni a cura del cliente, avrebbe dovuto rappresentare l'ora corrente. Dopo una settimana di dedizione assoluta a pigiare i suoi 8 (otto) pulsanti di settaggio, ancora non ero riuscito a impostare la data né il modo di svegliarmi sicuro che sarebbe stato il momento giusto. Mi faceva impressione vedermela troneggiare sul comodino, me la sono levata di torno e me ne sono andato a cercarne un'altra.

Terza sveglia, più cara, design europeo, di gran marca, “Scientific”. Apparentemente niente male. Penso che ci siamo. Apro il vano porta pile e le linguette che fermano il suddetto vano si rompono; sono fatte di materiale che non può non rompersi, semplicemente. Ora la terza sveglia è sul comodino, funziona ancora ancorché senza il suo bel sportellino. Ma la guardo con sospetto e non si può vivere una vita serena se si ha dei sospetti sulla propria sveglia.

Avrei speso volentieri il doppio, anche il triplo, per una sveglia. Certe cose devono costare, penso io, perché devono durare, perché devono essere fatte bene, perché appartengono ai generi di indispensabile utilità. Alla fine ho speso per quelle tre carcasse quanto mi sarebbe costato un buon oggetto. Il fatto è che per certi generi di merci non esiste più la possibilità di un buon acquisto, almeno come lo intendo io. Come se produrre cose fatte bene a un giusto prezzo non fosse più interessante per chi produce e per chi vende; e, evidentemente, nemmeno per chi acquista. Come se gli acquirenti non avessero più la necessità di svegliarsi nel modo giusto all'ora giusta, ma solo di farlo in qualche modo quando capita. E non ci credo. Credo che se si facessero buone sveglie ci sarebbe chi le compra, anche se costano il triplo, o il quadruplo, di una cattiva sveglia.

Abbiamo ancora bisogno di cose ben fatte; probabilmente farle non costerebbe una follia, ma non farebbe guadagnare quanto hanno imparato a guadagnare quelli che le vendono. Ci stiamo circondando di oggetti mal fatti e tra cinque, dieci anni, saremo letteralmente sommersi da una discarica di oggetti inutilizzabili solo perché in questo modo c'è chi si arricchisce oltre la più fervida immaginazione di un industriale dei bei vecchi tempi, quel genere di imprenditore che non disdegnava la ricchezza ma si sentiva obbligato a guadagnarsela offrendo sul mercato buoni prodotti in concorrenza con altri buoni prodotti.

Nonostante i suoi rovinosi test, al mio nipotino Richi Babbo Natale ha portato una bella pista per automobiline, marca italiana, produzione cinese. Finito di scrivere andrò da lui a vedere se riesco a ripararla, ma credo che sarà impresa impossibile. Assieme alla pista gli sono arrivati altri giochi. Nessuno veramente bello, tutti in via di guasto, compresi quelli che, essendo didattici, dovrebbero per loro natura essere molto affidabili: un planetario, un microscopio, Mi chiedo se per Richi sarebbe troppo sacrificio avere al posto di quel cumulo di prossima spazzatura, una pista, un microscopio con cui poter giocare non una settimana, ma dieci anni con la mia pista. E se non me la fossi venduta, giuro che mi piacerebbe giocarci ancora.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 31/12/2005

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