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MAURIZIO MAGGIANI

I tedeschi delusi dalla sinistra

Conosco un poco la Germania e un poco conosco i tedeschi. Anche se ai miei amici il mio pare un gusto eccentrico, mi piace quel paese e mi sono simpatici i suoi abitanti. Ho amici in diversi Lander e in molte città, e anche se so cogliere le differenze tra un gioviale mangia-salsicce del Bayern e un meditativo testa di pesce del Baltico anseatico (così osano dirsi gli uni degli altri nella loro pacata e, a orecchio straniero, sfuggente autoironia), riconosco modi di comportamento collettivi e nazionali che mi piacciono e che apprezzo.


Apprezzo il loro generale senso dell’onore e della dirittura, mi piace il loro romanticismo e la loro fedeltà applicata ai sentimenti personali e a quelli civici, mi piace la loro franchezza e il loro riserbo, apprezzo il loro spiccato gusto per le cose fatte bene, siano esse un museo o un’automobile. Adoro la loro idea che fare bene le cose significhi innanzitutto rendere la vita più facile per potersela godere nei molti modi che hanno a disposizione, siano una stagione concertistica o un viaggio all’estero, una passeggiata sul lungofiume o una partita a scacchi con bevuta in birreria. Adoro la loro propensione a lavorare bene per poter faticare lo stretto indispensabile.


Si dice che gli italiani amino godersi la vita: visti da Kiel o da Monaco, Da Bochum o da Berlino, danno l’impressione di un popolo dannato a rovinarsela la vita. E a rovinarsela per cose che, viste da lì, sono una montagna di sciocchezze a cui con poco sforzo si potrebbe rimediare. Ci sono molte ragioni per cui i tedeschi sono quello che sono, naturalmente, ma credo che una delle principali stia nel fatto che da quattrocento anni ormai convivano pacificamente la fede cristiana riformata e quella cattolica e che nel tempo abbiano imparato a prendere il meglio dell’una e dell’altra.


Non mi nascondo, e non si nascondono loro, che le loro migliori virtù possono rovinare nelle catastrofi che hanno segnato la loro storia, compresa la più folle e disperante, ma c’è un vizio, e noi lo conosciamo bene, che si sono imposti di purgare: la smemoratezza. I tedeschi si impongono di ricordare, fanno diuturno esercizio di memoria. Essendo di memoria lunga sono molto precisi quando si tratta di giudicare il grado di coerenza e di fedeltà, di lealtà e di coerenza riguardo alle persone che incontrano e che scelgono come loro compagni, di vita, di viaggio, di affari, di gioco. E ho notato che questo è il metro principale con cui giudicano i propri politici e i propri governanti. Quando devono sceglierli e quando controllano ciò che stanno facendo.

I tedeschi hanno un’idea molto precisa e pratica della politica e per questo non se ne disinteressano mai: ci tengono troppo alle loro scelte di vita, alla qualità della loro vita per poter pensare di dare mano libera ai politici che la loro vita devono appunto governare. Ho parlato spesso di politica con i miei amici – non di quella del mio Paese, che è da un bel po’ che evito accuratamente di ricordare fuori dal sacro suolo natio, e mi ha sempre colpito la grande praticità con cui fanno le loro scelte.

Ad esempio, pur essendo gran parte di loro di sinistra, hanno ritenuto il loro vecchio cancelliere democristiano Kohl un coerente difensore dello stato sociale e hanno votato a suo tempo Schroder solo perché Kohl ha incominciato a mentire al suo Paese. Ha mentito sui costi della riunificazione, ha mentito sui fondi irregolari al suo partito (bazzecole quei soldi se misurati con il nostro ripugnante metro) e ha mentito sulla “settimana delle patate”. Già, Kohl ha parso le elezioni perché “pare” avesse intenzione di sopprimere, a beneficio del bilancio statale, la settimana di ferie autunnali dei pubblici dipendenti, degli studenti e di gran parte dell’industria privata, che cent’anni fa serviva ai tedeschi per il raccolto delle loro adorate patate e oggi per la ormai tradizionale vacanza in Italia, Grecia e Spagna a costi di bassa stagione.


I tedeschi hanno un’idea e una pratica dello Stato sociale che noi non riusciamo nemmeno a sognare. La mia amica Hanna oggi non voterà Schroder perché le ha tolto la baby sitter gratuita nel tempo in cui lei va all’università a laurearsi per la seconda volta. E non voterà la Merkel perché lei non ha nessuna intenzione di restituirgliela. I tedeschi sono disposti ad affidarsi a un programma politico solo se è ragionevole, e quando la Merkel dice che vuole ridurre drasticamente le tasse non le credono proprio perché è un’idea irragionevole.


Diciamo che sono politicamente adulti, e allora non hanno intenzione di concedere altra fiducia a Schroder perché si sentono da lui traditi. Avendo memoria, ricordano bene quali erano i suoi programmi iniziali e che fine hanno fatto. E lo detestano pure, i miei amici di sinistra in primis, perché lo ritengono moralmente inadeguato. In un’epoca molto difficile per il loro Paese, trovano che sia un uomo frivolo e insensibile, scaltro e opportunista. Sempre con il nostro metro, uno così noi ce lo terremmo caro per l’eternità. Ma loro no. E se oggi Schroder dovesse ancora vincere le elezioni, lo farà solo perché i suoi elettori ritengono la Merkel ancora più volubile di lui, e comunque vincerà con la gelida sensazione di un popolo che gli sta con il fiato sul collo.


Questo popolo non ha paura dei sacrifici, questo popolo si è imbarcato dodici anni or sono nell’impresa della riunificazione che parrebbe al di sopra delle forze di qualunque altra nazione del mondo: è stato comprato un intero Paese vuoto di ogni cosa e lo si è vestito, scaldato, nutrito, e per intero ricostruito e condotto a un’altra epoca. Io suo costo, oltreché inesprimibile con una cifra che si possa leggere, è pagato a rate che finiranno – se va bene – tra vent’anni. La crisi economica della Germania viene di lì, la crisi di fiducia politica viene dai conti, truccati, di Kohl e dall’incapacità di Schroder di utilizzare il patrimonio di disponibilità al lavoro e al sacrificio in modo equo e produttivo per la nazione.

I tedeschi non tollerano che nel corso di un governo socialdemocratico i ricchi siano riusciti a mantenere le loro rendite a scapito e sulle spalle delle certezze sociali dei lavoratori (in Germania si usa ancora la parola lavoratori senza alcuna ironia e senza essere comunisti) e non tollerano neppure che Schroder faccia un giorno di vacanza in più di un operaio della Mercedes.


Schroder ha fallito personalmente e programmaticamente come gran parte dei governi di sinistra d’Europa, messi in crisi dalla loro stessa pochezza intellettuale e ideale. Abituati a lavorare bene, i tedeschi pensano che se ci sono dei problemi bisogna saperli risolvere nel modo giusto, ciascuno in base alle proprie responsabilità; e il modo giusto per loro non contempla l’ingiustizia, per nessuno.

Dico questo per quel poco che so della Germania. Dovessi dar retta ai miei amici oggi la partita è tra la Merkel e Lafontaine, tra i democristiani e la sinistra sociale. Significherebbe che i tedeschi hanno chiuso con la socialdemocrazia, e la socialdemocrazia con il governo della contemporaneità. E la cosa, comunque la si pensi, non è tra le belle notizie dell’anno. Perché i tedeschi sono romantici, fedeli, ragionevoli, diritti e significherebbe che la socialdemocrazia non è niente di tutto questo.


Maurizio Maggiani – L’UNITA’ – 18/09/2005


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