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MAURIZIO MAGGIANI

IL SECOLO XIX - 06/01/2002

A chi importano i morti per la droga

Ti aiuta a dimenticarli il fatto che ne muoiono più pochi. Ne muoiono più pochi perché in qualche modo hanno imparato a ridurre il proprio danno, e perché gli stessi produttori e i distributori hanno capito che ridurre i danni fa aumentare i guadagni. La roba nuova è assai meno cruenta perché meno invasivo è il modo di farsela. Meno cruenta ma terribilmente devastante; ma siccome devasta il cervello e non il corpo, li dimentichiamo perché non li vediamo e pur vedendoli non li sappiamo riconoscere.

Del resto puoi sentirti in diritto di pensare che tutti i ragazzi siano fuori di testa, catatonici, lavativi, anafettivi. Puoi addirittura pensare che tuo figlio sia né più né meno che come tutti gli altri: una generazione che è venuta male.

Naturalmente il sistema migliore per dimenticarli è toglierseli di torno. Quelli che rompono, che rompono davvero, quelli dell'eroina in particolare, vanno in galera e non c'è niente come la galera così efficacemente distante dalla memoria di quelli che stanno fuori. Quelli che rompono, ma non sufficientemente per la galera, basta spostarli. Levarseli di torno: leviamoceli da sotto le finestre e vadano a rompere da un'altra parte.

Mica è e difficile. In questi giorni a Genova si stanno per esempio chiudendo i vicoli, i peggio vicoli, quelli dove non si poteva più passare. Si chiudono con dei cancelletti nemmeno brutti a vedersi, nulla a che vedere con le barriere del G8. Naturalmente adesso quei vicoli sono i meglio tenuti della città e le gente che si affaccia dalle finestre ora finalmente fa vita. Quelli che rompevano ora andranno a farlo più su; il fatto che, come notava poeticamente Caproni, Genova sia tutta il salita è un buon deterrente: salire fino a via Chiodo per farsi una pera non rientra esattamente nell'indole del tossico, salvo il fatto che ieri mattina in cento metri di salita San Nicola ho contato 36 siringhe.

Se è proprio necessario evidentemente ci si può adeguare anche ad un'estrema pratica salutista, a meno che a farsi sulle creuze non siano gli abitanti dei quartieri alti, e su questo bisognerebbe meditare.

Quello invece che ci aiuta a ricordarceli è il fatto che a volte comunque muoiono, e non lo fanno in una cella o in una clinica, ma praticamente davanti a noi. Nei primi giorni dell'anno tre, ho scritto tre, giovani tra Genova e Albenga. Morti cruentissime, con la differenza sostanziale, che chi è morto non è lo stato per essersi fatto della roba, ma per averla la roba, o per darla. Problemi di mercato. Ultraliberismo nel settore dello spaccio, concorrenza accanita, ingresso di nuovi piccoli imprenditori disposti a tutto, privi della professionalità necessaria ad evitare guai, senza quel po' di cervello per capire che i guai deprimono gli affari.

A Genova l'ultimo dell'anno è morto un ragazzo per uno spinello. Spero che vi rendiate conto: uno spinello, che altrove in Europa si compra dal tabacchino e negli Stati Uniti ha un'associazione di produttori locali, clandestini si fa per dire, che fa convegni ogni anno. E qui può essere agevolmente rinvenuto nelle tasche di ineccepibili tutori dell'ordine come in quelle di stimatissimi professionisti. Ma se sei un ragazzo che non ha l'indirizzo giusto o chi vada all'indirizzo giusto per te, e vuoi farti una fumatina per festeggiare l'anno nuovo a zonzo per la città, allora devi rivolgerti al mercato locale, a qualche pazzo clandestino che non gli frega niente né della vita né della morte.

Uno spinello! Ricordatevelo quando invocate il pugno di ferro contro le droghe leggere. Avete ragione, non c'è differenza tra eroina e marijuana: si può morire indifferentemente per l'una come per l'altra. Morire ammazzati. Ma i morti passano, i vicoli si sgombrano, gli psicotici si nascondono bene, così torneremo a dimenticarceli quelli che unanimemente chiamiamo i tossici, si facciano uno spinello o che, basta averli presi con le mani nel sacco.

Dimenticarci della droga è proprio quello che vogliamo fare, quello che ci auguriamo, tutti. A meno che non diventi un problema giudiziario, di ordine pubblico, quando allora ci torna in mente, eccome. Ce la ricordiamo perché in quel caso sappiamo bene cosa fare, cosa far fare a chi di dovere, con quelli che rompono: comunità, galera. Ce la dimentichiamo invece perché non abbiamo la più pallida idea sul che fare prima che diventi un problema di ordine pubblico o giudiziario, quando si tratterebbe ancora di prevenire.

Non c'è una sola buona idea al riguardo mi pare, e non ne ha mai funzionato davvero nessuna, buona o cattiva che sia stata. L'unica idea di prevenzione che non è stata ancora applicata sarebbe quella di cambiare la società nelle fondamenta dei rapporti economici, culturali, affettivi, ma non mi pare il caso.

La “piaga della droga”, come si dice, è inestirpabile, visto che continua ad esserci la domanda sempre più massiccia e diversificata, e continua a esserci offerta, anche quella sempre più massiccia e diversificata. Tra parentesi, sappiate che con l'arrivo al potere in Afghanistan dei nostri amici dell'Alleanza del Nord, la maggiore società produttrice d'oppio grezzo della zona, negli Stati Uniti è previsto un arrivo massiccio di ottima eroina a prezzi stracciati; un vero e proprio revival di una droga che sembrava ormai in declino per il sopravvento delle nuove pasticche.

La droga è una piaga, e come tutte le piaghe l'unica cosa da fare è tenersela e sopportarla, cercando di pensarci il meno possibile. Così come si tenevano le società che avevano scarsa disponibilità all'igiene, la malaria quelle che erano costrette a vivere nelle terre paludose e la sifilide quelle che non conoscevano la penicillina e i profilattici.

Teniamocela la droga, e i suoi sgradevoli effetti collaterali, perché debellarla prevenendo richiederebbe uno sforzo intellettuale e politico, e affettivo, ingente. Uno sforzo che, così come siamo, non siamo in grado di sostenere. O no?

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 06/01/2002

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