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MAURIZIO MAGGIANI

IL SECOLO XIX 31/08/2001

La verità e le intuizioni



Ho valicato questi giorni di macaia tremenda avvolto in un sudario chiuso in casa. Dovendo evitare qualsiasi forma di attività che potesse compromettere il difficilissimo equilibrio idrico del mio organismo, ho passato il mio tempo stando perfettamente immobile appiccicato alla radio. A Radiorai Parlamento, la mia stazione del cuore, dove davano il mio programma preferito di questi ultimi tempi: le audizioni della Commissione parlamentare sui fatti di Genova.

Le ho ascoltate. E in particolare ho ascoltato i servitori dello Stato, gli alti funzionari delle polizie in carica e scaricati, relazionare sul loro operato e i parlamentari incalzarli con numerose domande al riguardo. Ho avuto modo di imparare parecchio, di sapere abbastanza, di capire qualcosa che altrimenti mi sarebbe sfuggito sui contorni di ciò che in cuor mio continuo a sentire come uno degli episodi più complicati e indecifrabili della storia recente del mio Paese.

Sui contorni, per l'appunto, non sulla sostanza. Non che i contorni siano poco importanti, i contorni raccolgono e danno forma alla sostanza, ma se ci fermiamo lì non metteremo mai le mani sul nocciolo di ciò che vogliamo sapere. Vogliamo e dobbiamo. C'è una gerarchia riguardo alle cose da sapere sui fatti di Genova. Al primissimo posto la risposta alla seguente domanda: chi ha messo a ferro e fuoco la città? Dopo di che segue: perché lo hanno fatto? Nello stato di diritto in cui tutti ci compiacciamo di vivere e di cui molti lagniamo la decadenza, queste non sono domanda di natura speculativa e neppure, in prima istanza, di natura politica. Sono domande molto concrete che attendono le concrete risposte del sistema di diritto. C'è stato un delitto, va arrestato, giudicato e punito il colpevole. E nel mentre e nel poi discutiamo del resto, dell'essenziale contorno.

Pare che un colpevole sia stato individuato nella persona collettiva denominata Black Bloc. Sul Black Bloc nulla al momento è dato sapere di certo, neppure se i suoi membri tra loro si chiamino così. Gli alti funzionari auditi, gli stessi parlamentari, per non parlare dei media, hanno elaborato numerose intuizioni circa il Black Bloc a partire dal vasto materiale indiziario e da cocente esperienza empirica. Intuizioni sociologiche, molto più spesso politiche, qualche volta anche poetiche. Il funzionario Zazzaro (responsabile della sala operativa della polizia, un tecnico che ha relato in modo esemplarmente tecnico) si è espresso “poeticamente” così: un muro di violenza. Letteralmente molto efficace, questa immagine nell'esercizio dello stato di diritto descrive solo l'inconoscibile e l'inesistente.

L'ex questore ha parlato di marea dilagante nella città incontrastabile. Altri ancora di magma indistinguibile, di professionisti della guerriglia addestrati in modo esemplare, di esperti di mimetismo politico ed estetico. Di centinaia, o di migliaia, o di decine di migliaia, o forse centinaia di migliaia di terroristi. All'ultima cifra ci arriva il senatore Ascierto di An secondo il quale non c'è vera e sostanziale distinzione tra Black Bloc e qualsivoglia manifestante colto in flagranza di manifestazione nei giorni 20 e 21. Aggiunge, a proposito di stato di diritto e necessità di conoscenza, il senatore che, auditi i funzionari di polizia, i lavori della Commissione sono da considerarsi conclusi in quanto la verità risulta lampante già dalle loro relazioni. L'Intelligence poi non ha fornito lumi ulteriori. A dire il vero le informazioni conosciute paiono il frutto di una Intelligence di bizzarra e conturbante fantasia dedita a raccogliere indiscrezioni nell'ambiente dei fumetti squatter più che in quello dell'antagonismo politico.

Ecco, se le cose stanno così il Black Bloc è la nuova Peste, il castigo di Dio, il Male su cui nessuno riuscirà a prevalere tra gli uomini giusti. E non si verrà mai a sapere chi ha devastato la città perché lo Stato di diritto non si occupa di colpevoli metafisici e letterari, ma di nomi e cognomi, di rei. E' quello che dobbiamo ammettere dopo i fatti di Genova? O chi ha commesso reato in quei giorni è umano e identificabile, soggetto criminale che è doveroso combattere e possibilissimo sconfiggere? Vogliamo scherzare?

Se vogliamo fare sul serio allora quanti devastatori sono stati arrestati in flagranza di reato? Questo è quello che conta davvero. Non è ora essenziale se siano stati aderenti ai Black Bloc o suore di clausura. Importa sapere se e chi è stato preso con le mani nel sacco. E non per resistenza a pubblico ufficiale, ma per saccheggio, tentato omicidio, devastazioni di beni pubblici e privati. Ciò per cui rimarranno a lungo nella memoria del mondo e soprattutto in questa città, i fatti di Genova.

Diciottomila uomini, tra cui i meno esperti venivano da dieci mesi di addestramento specifico, muniti di ogni tipo di mezzo tecnico ed elettronico, di un sistema di 25 telecamere fisse in città più diverse telecamere mobili tra le mani di agenti cameramen, di due elicotteri, di un sistema satellitare di avanguardia – di quando in quando messo in crisi, per ammissione dello stesso Zazzaro, non dai sofisticati contromezzi degli antagonisti, come prevedeva l'Intelligence, ma dal cattivo uso degli inesperti operatori – quanti delinquenti hanno arrestato nell'atto di delinquere?

Telefonata intercorsa tra un alto funzionario della polizia e un dirigente del movimento antiglobal nella notte del 20.

Dirigente: “Avete saputo dove sono a dormire i Black Bloc?”

Funzionario: “E tu lo sai?”

Dirigente: “No”

Funzionario: “Ma lo sanno tutti: sono a Nervi e a Villa Gambaro”.

Telefonata intercorsa tra gli stessi poco prima degli incidenti di Punta Vagno.

Funzionario: “State attenti stanno arrivando cinquecento Black Bloc alle spalle del corteo”.

Dirigente: “Come facciamo, non abbiamo niente per fermarli, per amor di Dio fermateli voi”.

Funzionario: “Non possiamo, sono in troppi”.

I responsabili dei 18 mila e dei loro mezzi, dei progetti e dei piani, hanno tutti – ad eccezione bisogna dire del dottor Andreassi – prima precisato di essere pronti, prontissimi, ad affrontare la situazione, poi hanno addossato la colpa di ciò che nonostante la loro altissima efficienza è accaduto, alle inefficienze, alle ambiguità, alle connivenze del Genoa Social Forum. Lo hanno fatto con considerazioni di carattere politico, non tecnico e nemmeno giuridico di una qualche rilevanza. Hanno inteso, umanamente, salvare la faccia o esprimere personali convinzioni. Il Genoa Social Forum è una parte determinante del contorno, così come lo è la politica del governo al riguardo. Bisognerà discutere e riflettere molto su questo.

Ma la gerarchia di uno Stato di diritto prescrive al primo posto: vogliamo sapere chi sono i rei. E poi tutto il resto che ne consegue. Vi abbiamo dato i mezzi per farlo, lo avete fatto?

Una flagranza di reato è stata risolta. E' stata risolta in piazza Alimonda con un colpo di pistola. E' questo ciò che dovevamo aspettarci? Andreassi ha detto una cosa che non mi pare di aver visto riportata dalla stampa. Ha detto: “Credo che il paese debba essermi grato del mio lavoro se non altro perché ho fatto in modo che di Giuliani ce ne fosse uno solo. Potevano essercene di più”.

C'è qualcuno che sa spiegarmi meglio questa frase, così terribile, così oscura, così tragicamente stagnante nell'aria della Sala del Mappamondo?

Maurizio Maggiani

IL SECOLO XIX – 31/08/2001

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