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MAURIZIO MAGGIANI

Genova un anno fa

Cosa ricordo, o meglio: cosa ho portato con me fino a oggi, fino all'anniversario, alle celebrazioni, ai riti, di ciò che è stata la Zona Rossa? Cosa val la pena che io tenga di conto per la vita, per la memoria e per il futuro dei cinque giorni della Città Proibita.

E' stano, ma per tutto questo anno, nonostante una mole strepitosa di immagini, non ho visto una sola fotogragia, un filmato, in cui ho potuto riconoscere ciò che ho pensato di vedere, di percepire allora, “quando c'ero”.

L'immagine di una piazza vuota racconta di una piazza vuota e basta. De Ferrari alle sette di mattino di una qualsiasi domenica dell'anno è una piazza vuota, ma il 17 luglio dell'anno scorso De Ferrari era molto più di una piazza vuota, e quel di più non riesce a stare dentre nessun documento visivo. Perché la Zona Rossa è stata una condizione dello spirito molto di più che uno stato materiale delle cose. E' stata un'espropriazione dello spazio esterno ed interiore: una voragine che si è aperta nel centro della città, sotto i piedi di chi ne calcava i selciati vivendoci; e il centro non era semplicemente quello topografico e la voragine qualcosa che risucchiava dentro l'anima della gente.

I rarissimi tra gli antichi abitanti del Centro che nella notte non erano stati risucchiati fuori dalle grate, si muovevano lungo le vie dilavate da una pulizia chirurgica come naufraghi capitati in una dimensione aliena.

Così il sentimento che mi è rimasto più vivo è lo spaesamento, il mancamento, il capogiro scendendo di casa la mattina e trovare il vuoto, quel Vuoto. Dunque era davvero possibile svuotare una città della sua vita, prosciugarla della sua linfa, farne un fossile bellissimo, perfetto, cristallino!

Era magnifica la città, tirata a lucido, smaltata, incisa come un altorilievo; prova ultima, definitiva, di un grande artista della scenografia per lo spettacolo più grande della sua carriera. Ecco, ho pensato, hanno fatto della città un palcoscenico. E le barriere issate nela notte riverberavano l'eco di un silenzio identico a quello che sovrasta un teatro nell'attimo in cui il sipario è stato appena sollevato e la scena è lì, allestita e pronta a dare inizio allo spettacolo, ma immobile, sospesa nell'attesa del via, del tocco di bacchetta del direttore.

I nuovi abitanti della città, gli inservienti e gli attori della recita che stava per avere inizio, si muovevano in perfetto silenzio e sincronia; divise impeccabili come costumi, volti compiacenti e compresi nella lieve tensione dei professionisti, non un solo gesto fuori tono. Anche questi uomini erano silenzio e vuoto. Persino i cavalli, splendenti macchine di scena, battevano gli zoccoli sulla pietra serena senza apparentemente far rumore, nitrendo muti. Nelle vie laterali gli idranti della Forestale sorbivano il loro alimento dalle bocchette antincendio con la placida eleganza di animali da circo.

La Zona Rossa è stata una costruzione perfetta, una perfetta finzione fino a venerdì mattina. Poi quella mattina sono comparsi i fiori appesi alle grate della barriera di Salita Pollaioli, e la finzione si è dissolta: quei fiori erano una realtà e una verità. E un ricordo cocente, quello delle immagini di filo spinato, di grate e cancellate dei campi di concentramento, dei ghetti, delle galere, dei campus, di ogni genere di recinto dove sono stati rinchiusi od esclusi degli uomini.

Quando viene innalzata una barriera, prima o poi qualcuno mette dei fiori. Perché la presenza di una barriera è intollerabile, insopportabile anche alla vista. Poiché quando viene innalzata una barriera prima o poi qualcuno finisce per tentare di valicarla, e quei fiori sono per lui.

Per chi erano i fiori di venerdì mattina in salita Pollaioli? Per nessuno: al momentto tutto era tranquillo e in ordine. Erano solo per la barriera, messi dalla gente che abitava di là; un gesto di bellezza contro il disordine che la barriera aveva portato nella loro vita. Sì, ma erano anche per qualcuno, per qualcuno che sarebbe venuto. Che puntuale si è presentato.

E infatti, poco dopo, la scena squisitamente immobile, la compagnia dei teatranti eternamente in posa, si sono trasformate in un grande disordine, abbastanìza disordine per tutte le autoblindo, i cavalli e gli idranti che aspettavano di rendersi utili.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 19/07/2002

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