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MAURIZIO MAGGIANI

Ma io resto a casa


Questa notte non sono partito per Roma. Forse ho sbagliato, ma, dopo averci pensato un bel po', alla fine ho deciso di restare a casa.

Se mi interrogo su ciò che penso circa lo stato della giustizia nel mio Paese, se mi provo a immaginare quello che della giustizia assai probabilmente accadrà nel prossimo futuro, a Roma a manifestare ci dovrei andare di corsa, e a piedi. Vorrei soltanto che i lettori si ponessero assieme a me la seguente domanda. Sentiamo parlare, urlare, strepitare sui problemi della giustizia da anni, tutti i giorni che Iddio manda in Terra. Da anni il parlamento pare che altro non abbia da fare che legiferare in proposito. Bene: quanto di quello che sentite riguarda una maggiore più equa e rapida giustizia per la parte lesa? Voglio ricordarvi che la parte lesa è chi ha subito un torto, una violenza, un assassinio. La parte lesa è una vittima di una malefatta, di un crimine.

La parte lesa è fatta tanto da una persona che è stata uccisa quanto da una comunità che è stata ingannata, da una valle deturpata e da una donna picchiata, da un assicurato non risarcito e da un operaio ingiustamente licenziato, Questa è la parte lesa.

Ma se ascoltate il ministro di Giustizia, se seguite le sedute del Parlamento, rischiate assai facilmente di confondervi: le leggi da fare con urgenza, le battaglie da vincere, la certezza del diritto, la certezza del diritto, le garanzie da tutelare riguardano l'imputato dei reati. Come se fosse l'imputato la parte lesa torchiata da un sistema processuale medioevale; lui la parte debole, la vittima che reclama giustizia. Non da uno, ma da cinque anni si è andato riformando il processo penale per consentire il massimo delle opportunità di difesa e tutela. Se, come dice il governo, i cittadini hanno grande simpatia per il suo programma giudiziario, allora non vi sono dubbi: gran parte di questo Paese è composto da accusati, non da accusatori; da gente desiderosa di difendersi, in ansia per come potrà farlo. Un Paese con la tentazione di messa a delinquere in grande stile. Un Paese di ricchi risparmiatori fraudolenti.

Già. Durante il governo di centro-sinistra, l'allora direttore generale delle carceri riferì in modo assai crudo al Parlamento. Disse: in Italia oggi viene amministrata la giustizia “di classe” e le carceri sono piene di piccoli delinquenti e vuote dei grandi. Le norme varate dal governo, di centro-sinistra, mentre risultano di dura efficacia per chi non ha mezzi, permettono a chi ha risorse finanziare adeguate il procrastinare sine die una sentenza definitiva. Non so se i lettori smaniosi di poter vantare un legittimo sospetto, sono al corrente di quanto denaro costerà loro mantenere un collegio di difesa in grado di soddisfarli. O anche solo quanto costi arrivare a una sentenza di assoluzione per decorrenza dei termini.

Se ci penso a Roma oggi avrei dovuto arrivarci in ginocchio. Ma c'è un girotondo. E' una cosa molto delicata un girotondo, lo so io che ho fatto il maestro per un bel po'. Ci si tocca la mano nel girotondo, si sta a contatto intimo. E io desidero stare mano nella mano solo con chi voglio io. Saranno così tanti oggi a farlo il girotondo che non mi sarebbe stato possibile scegliere a chi dare la mano. E non voglio darla a un bel po' di persone che saranno lì a braccia aperte.

Ci saranno, desiderosi di toccarmi, tutti quelli che hanno governato da ipocriti, da incapaci, da furboni maestri dell'accordo sotto banco. Tranne uno, si sa, impegnato in un giro di conferenze sui maestri d'ascia. Ci saranno quelli che hanno avuto responsabilità di giustizia e andandosene hanno regalato le promesse indispensabili allo stato attuale delle cose. Uomini che ieri fremevano per accordarsi con l'avversario sulle impunità e oggi parlano come Noam Chomsky in stato di ebbrezza. Uomini incapaci di governare e incapaci di opporsi, che oggi, visto che i movimenti si sono dimostrati efficaci assai più di qualunque idea che abbiano mai avuto, tenteranno di ergersi sulle spalle degli anonimi cittadini, per essere ancora una volta in vista, i più in alto, i più vicini alla meta, al frutto che cadrà. Che tutto cambi perché niente cambi, essendo loro il niente.

Né voglio dare la mano e tanto meno cantare in coro con qualcuno che scambi il mio gesto per un voto, o un'investitura. Oggi come oggi non ho nessuna intenzione di acclamare nessun leader, a parte il fatto che ho in odio i leader che si fanno acclamare. Voglio per me e per il mio Paese democrazia, non plebisciti. Ho sentito in questi giorni troppe volte parlare dei leader, con cipiglio da leader e toni da leader; persone pur degne ma che non ho mai votato. Non voglio essere sondato, voglio essere ascoltato; non voglio essere pubblico, voglio essere cittadino, ragion per cui non desidero intimità con chi dà l'impressione di pensare che oggi a Roma si svolga un programma di massima audience e non una manifestazione civile. I leader, quelli democratici, si formano sì nella lotta, ma anche nella riflessione e nel dibattito. Ci vuole tempo e per questo, e non gradisco affatto che mi si faccia fretta al riguardo.

Questo governo cadrà con molta probabilità prima del tempo naturale che gli è concesso. Vista la sua forza di resistenza, non per via delle manifestazioni di piazza, non per i giudici. Cadrà annegando nella follia delle sue “idee riformatrici”, impossibilitate a resistere alla forza della realtà. Chi ha avuto il coraggio di guardarsi per bene cosa è la prossima Finanziaria e cosa potrà essere quella dopo, deve solo augurarsi che il Paese non capisca troppo presto di che cosa si tratti. Per amore del Paese stesso, perché un'ira di dio in coscienza non se la può augurare nessuno. Siccome sono fermamente di questo, oggi non sono a Roma perché non voglio avere anche solo il sospetto che il risultato finale delle mie pene e della mia indignazione, sia Folena ministro della Giustizia e Santoro alla Cultura popolare. Ma faccio male a non esserci, perché, lo so, ci sono molte centinaia di migliaia di mani senza audience e senza cipiglio che sarei onorato di stringere. Sinceri democratici civilmente indignati che nel tempo avranno abbastanza intelligenza e forza per scegliere loro come cambiare le cose e con chi.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX - 14/09/2002

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