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MAURIZIO MAGGIANI

Lotta alle patacche

Ho meditato sul pesto. Arrancando sotto il sole di mezzogiorno i duri gradini di Salita Paganini verso la mia vecchia casa di La Spezia, a questo ho pensato: al pesto. Per via delle finestre aperte su fresche cucine odorose di pranzi in allestimento, per via dei vasi di basilico affacciati ai davanzali delle suddette cucine, ma soprattutto per via del fastidio del sole. Complicata associazione di idee, ozioso vagare della mente che ora tenterò di spiegare.

Bisogna sapere che fino a non molti anni or sono salita Paganini, come tutte le altre strade pedonali che dal centro della città di Spezia salgono alla prima collina, non erano né dure né cocenti, ma anche nella pienezza estiva, deliziose, riposanti ombrose vie, gallerie vegetali. Segno distintivo della città, lusso urbano di maestà parigina. Poi, col tempo, gli alberi ammalati sono stati abbattuti e mai rimpiazzati, e la piccola Parigi si è fatta brutta periferia in salita. Chi ha protestato, chi ha pianto per quella bellezza perduta, non ha mai avuto udienza e soddisfazione. Non solo dal governo della città, controparte perenne e perfettamente bipartisan, ma da chi, elettivamente, della bellezza e della sua tutela nell'ambiente doveva essere paladini e della bruttura strenuo oppositore.

I verdi, tanto per dire, credo si chiamino Verdi e non Arancioni, per questa ragione. Ma gli ambientalisti della città sono stati impegnati per i molti decenni in cui gli alberi morivano in altre e ben più importanti battaglie. Battaglie di lungo respiro e incertissimo successo. Battaglie adatte a consumare molte legislature e molti mandati politici di aspiranti leaders carismatici. Battaglie ideali trascinanti, molto adatte a non essere mai perse del tutto, mai vinte davvero. I platani abbattuti, le crose panoramiche distrutte, la speculazione edilizia in collina, parevano agli occhi di chi aveva la vista lunga, distrazioni pericolose, modeste battaglie che era possibile perdere o vincere nell'arco mortificante di un anno, di un mese, di una legislatura. Personalmente penso che questo sia uno degli errori più stupidi e imperdonabili di un movimento ambientalista che, non a caso, in questo Paese non ha mai avuto né saputo conservare adeguati consensi tra i cittadini. I quali, io tra loro, non vogliono distinguere tra piccole e grandi battaglie quando è materialmente in forse la qualità della loro vita; della bellezza, della salute, del conforto della vita. Importano gli alberi delle scalinate, come i fumi cancerogeni, perché una vita decente o sofferente è fatta di tutte e due le cose, di cose quotidiane e questioni epocali. E le modeste battaglie, si dimostrano sempre solo apparentemente modeste. Il brutto, il malsano, il truffaldino, prediligono dilagare da piccole crepe.

Dunque, è per questo, che arrancando per salita Paganini mi è venuto in mente il pesto. Perché, stupidamente, anch'io mi sono macchiato dello stesso peccato dei lungimiranti ambientalisti. Già, lì per lì non ci sono stato su a pensare un granché alla Nestlé, ai tedeschi impostori, al fatto, tanto semplice ed evidente da rischiare di sparire alla vista, che qualcuno lassù stava rubandomi una bellezza e un bene. Mi sto sbagliando, o a mettere le mani sul pesto non è un pizzicagnolo disinvolto, ma una multinazionale con vasti interessi e progetti sul transgenetico, sul manipolato?

Mi sbaglio, o i più generosi e accorti tra noi stanno combattendo da anni contro le politiche alimentari delle multinazionali nel terzo mondo, politiche invasive di prodotti artificiosi e depauperamento delle risorse alimentari naturali? E le battaglie per la tutela della tutela delle sementi autoctone? Quella per la trasparenza delle informazioni alimentari? Non appartiene tutto ciò ai grandi temi di Porto Alegre? Mi sbaglierò, ma, tanto per cominciare, rubare un nome, il nome di una città, il nome di un alimento, non è furto da poco. I è scomodato Iddio nel Genesi per dirci che è il nome a definire la sostanza delle cose e degli esseri. Mia madre si armerebbe di scimitarra se venisse a sapere che una signora va in giro a spacciare ravioli “fatti all'Adorna”. Tutelare il buon nome è tutelare la sostanza del pesto, e di Genova, può apparire solo ai distratti, o ai malaccorti, un'insignificante battaglia. E' solo una delle mille battaglie che riguardano la vita quotidiana e che non occorre un'epoca per vincere o perdere. Come ogni battaglia può essere combattuta per astuzia o per amore, ma ciò che conta è vincerla. Combatto per vivere in un Paese governato da giustizia ed equità, ma non voglio arrivarci nutrendomi di pesto Nestlé, se non vi dispiace. E vorrei che non fosse rifilato a nessuno se non per quello che è. Vorrei che nessuno fregasse nessuno rifilando patacche. E mi rendo conto che detto in questa contingenza politica suona un pochino, come dire, antigovernativo.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 03/08/2002

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