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MAURIZIO MAGGIANI

La favola Fiat vista dagli operai italiani della Volkswagen

Ieri mattina ho versato nella mia banca, San Paolo, un suo assegno di 150 euro. L'ho versato nell'agenzia 3 di Genova, l'ha emesso l'agenzia 1 di Francoforte. L'operazione mi è costata 10,30 euro. Stessa banca, stessa moneta, stessa Europa, ma operazione estera, roba costosa. Nel caso il mio assegno fosse stato, metti caso, di 10 euro – può capitare, non è illegale emettere assegni da 10 euro – avrei dovuto aggiungere io alla mia banca 30 centesimi perché mi facesse il favore di tenerselo.

Questa è l'Unione Europea vista da uno sportello di banca. Poco male, mi appaga l'immagine della soddisfazione del direttore generale, la sua incontenibile gioia nell'aver tirato su 10,30 euro per comprare il latte ai suoi bimbi, un paio di mutande nuove per sé, delle calze calde per la vecchia madre. Quei soldi mi sono stati dati come rimborso spese di viaggio per aver tenuto una conferenza in una scuola di Wolfsburg.

Wolsfburg – città del lupo, vuol dire – è una piccola città della Germania del Nord, e in quella città c'è una scuola dove si insegna ai ragazzi usando come lingua principale l'italiano. C'è una ragione per questo: dei suoi 110.000 abitanti, 12.000 sono italiani, o di origine italiana. Wolfsburg è stata costruita alla fine degli anni Trenta dai muratori italiani, l'idea di costruirla è venuta ad Adolf Hitler in persona. La città è progettata in base ai cosiddetti principi di Atene: è una città giardino, tante isole urbane circondate da parchi. Al suo centro, intersecata da canali navigabili su cui viaggiano i suoi prodotti, c'è la grande fabbrica dove lavora pressoché tutta la gente della città: la fabbrica si chiama Volkswagen e produce dal 1938 automobili. E' il terzo gruppo automobilistico del mondo e alcuni dei suoi modelli sono noti anche ai consumatori italiani.

Oltre alla generazione dei muratori, da almeno altre due, gli italiani sono venuti qui per lavorare alla fabbrica di automobili come operai e tecnici. Ho parlato con qualcuno di loro e ho capito con qualcuno di loro e ho capito che si trovano bene. Lavorano in media 32 re alla settimana e ricevono in cambio un buon salario, sufficiente per vivere in una casa dignitosa, far studiare e progredire i figli, venirsene un mese in vacanza in Italia, e risparmiare qualcosa per ristrutturare la loro vecchia casa di famiglia.

Il molto tempo libero che hanno a disposizione lo utilizzano, appena il tempo lo permette, facendo gite nei boschi e sui laghi e canali: purtroppo Wolfsburg non ha un clima mediterraneo e soffre di un lungo e rigido inverno. Durante il quale vanno a teatro, nei due importanti musei, al cinema, nei caffè a conversare, all'Istituto di cultura italiano che ha nutrito programma di iniziative. In generale soffrono di nostalgia per il loro Paese: trovano che sia il più bel posto del mondo per andare in vacanza. Per lavorare e godersi la pensione, ritengono che è meglio non muoversi dalla loro città adottiva.

La grande fabbrica non dà segni di crisi e ha al momento lavoro per tutti, compresi i figli, se lo vorranno, e lo stato sociale, nonostante i tempi, continua ad essere molto più rassicurante di come credono sia in Italia. Sono stato ospite delle loro case, le case operaie costruite dai loro predecessori, e le ho trovate molto confortevoli, circondate dal verde e da spazi attrezzati per i bambini. Ho visitato il museo di arte contemporanea e mi è sembrato eccellente, impensabile in una piccola città italiana; ci ho trovato allestita tra l'altro la più grande e bella installazione di Mario Merz, un grande artista italiano, credo più conosciuto in Germania che in Italia. Ho conversato con gli alunni in una scuola sperimentale di alto livello, discutendo con insegnanti preparati e molto motivati. Ho trovato interessante anche il nuovo stadio di football, la squadra locale è stata promossa quest'anno in prima divisione, è l'avveniristico centro polivalente dove la Volkswagen celebra i propri fasti.

L'azienda ha appena finito di costruire una nuova fabbrica accanto alla vecchia: è un alto palazzo di vetro e legno al centro di un piccolo lago. Sì, la presenza della fabbrica nella città si avvicina all'ossessione: non c'è servizio collettivo, lampadina di appartamento, iniziativa culturale, panca di stadio che non sia sovvenzionata dall'azienda. La Volkswagen è un'industria a capitale pubblico ed è obbligata a spendere una parte consistente dei suoi guadagni a favore della collettività che ci lavora. Sembrerebbe che continui a guadagnare parecchio, visto che continua a spendere con un certo vigore. Al momento pare che nessuno si lamenti di questa generosità invasiva, anche se ho notato segnali di fronda: c'è gente, soprattutto tra gli italiani, che viaggia con automobili della concorrenza come segno di indipendenza e nobiltà, visto che una macchina della loro fabbrica la pagherebbero con il 20 per cento di sconto.

Ho ammirato anche una Fiat, una meravigliosa 850 special, tenuta con amorevole cura da un congegnatore meccanico in pensione. Nessuno tra quelli che ho incontrato mi ha chiesto o parlato di sua iniziativa della Fiat e della sua crisi. Quando li ho interrogati, ciò che ho capito è che per loro la Fiat è innanzitutto un pericolo scampato. Molti di loro hanno parenti che ci hanno lavorato, che ci stanno lavorando, almeno finché potranno. Non credono che avrebbero potuto adattarsi allo stile Fiat. Qui, al tempo della ristrutturazione, l'azienda concordò un sistema di orario flessibile – lavorare molto al bisogno, poco quando non serviva – e il sistema è stato abbandonato dopo pochi mesi, in favore dell'orario ridotto generalizzato, perché si era notato che si stava disgregando il tessuto sociale e la vita familiare. Dicono che alla Fiat a queste cose non ci avrebbero pensato. Se si guarda Wolfsburg da Torino, dal Lingotto, da Mirafiori, sembra la città di Bengodi, una favola.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 20/10/2002

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