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La rivoluzione industriale? Produrre utensili che funzionino un po' |
L'altro pomeriggio ho passato un paio di incantevoli orette in coda allo sportello dell'accettazione di una nota clinica per cellulari dove ho portato il mio telefonino a riparare. Ho avuto il tempo per osservare con attenzione i miei vicini e me stesso, le nostre espressioni, i nostri gesti.
Mi sono passate per la mente due immagini e le ho fuse tra loro: parenti dei dispersi in guerra con le piccole fotografie sgualcite dei loro cari tra le mani giunte davanti a un ufficiale chino su un registro a le fila per il metadone all'ingresso di un Sert. Uomini e donne pazienti.
Avendolo ficcato dentro un cumulo di letame, tra i flutti turbinosi della cascata maggiore della Marmora, tra le ruote di un Tir.
Gente che in altro frangente avrebbe mal tollerato, o tollerato, o tollerato per niente, una coda così estenuante e un trattamento così tribolante della spettabile clientela. Io stesso mi sono trovato a pensare che se quella fosse stata un'altra coda, magari quella per ritirare la Tac della mia vita, me ne sarei andato sbattendo la porta, levando alta la mia indignazione. Invece me ne sono stato lì, buono buono come tutti gli altri, smaniando di fervida attesa per il mio amato cellulare, a godermi le meraviglie del sì profit. A fianco della clinica c'è il negozio che mi ha venduto il telefono che sono andato a riparare; lì code non ce n'erano, lì gentili commessi mi hanno a suo tempo mostrato con dovizia di particolari ogni modello della vasta offerta del momento. Lì, gentilmente, mi hanno spiegato poi che sì, il mio cellulare era ancora in garanzia, ma la garanzia non copriva di certo il display, parte assai delicata e facile al guasto, e dunque non garantibile, pena il crollo dell'industria produttrice.
Un signore in coda con me del resto, mi ha spiegato che l'affare non consiste nell'aprire un negozio di cellulari, ma predisporgli al fianco un centro per le riparazioni: il cellulare è un elettrodomestico costruito per guastarsi abbastanza in fretta da rendere appetibile la sua vendita. A rendere appetibile il suo acquisto, invece, non è certo l'affidabilità, che non esiste, ma altri valori che non riguardano l'oggetto vero e proprio, ma il suo contorno: tutto ciò che la pubblicità ci spiega in modo assai convincente. E' una grande rivoluzione questa, la rivoluzione industriale del XXI secolo: produrre utensili che a differenza dei secoli passati non è detto che debbano funzionare bene e a lungo, ma funzionare solo per un po', magari per niente, perché ciò che conta è che nell'opinione dei consumatori risultino indispensabili, talmente necessari da doverli desiderare così come sono offerti.
L'industria strategica del XXI secolo non è quella che produce oggetti, ma quella che produce un'attesa assolutamente convincente al loro riguardo. Ci vorrà ancora un po' prima che si comprino automobili costruite in base a questi principi, quando si tratta della pelle, i consumatori sono ancora piuttosto tradizionalisti, ma del resto, come si sa, il futuro non è certo nell'automobile. L'industria si sta invece applicando già con metodo e profitto nel terreno giusto, quello dell'elettronica, naturalmente, quello dell'informatica e della comunicazione, in particolare: terreno sicuro perché intangibile, dove è assai difficile spiaccicarsi contro un muro. E' qui, nell'universo elettromagnetico e virtuale, nell'oggi che è già domani, che può darci a bere tutto quello che vuole, fare di umani ragionevoli i deliziosi gonzi che ravvivano i sogni più arditi dei responsabili alle vendite. In questo ramo io sono il re dei gonzi.
Il mio studio contiene quanto è reperibile di più appetibile sul mercato in fatto di tecnologie avanzate: computer portatili e da tavolo, palmari, top, l'AP, Adsl, SDN, roteerà, pub, cordless e, meraviglia inaudita, Bluetoth. Secondo me ci saranno sì e no dieci lettori in tutto che sanno cos'è il Bluetoth. Bè, è una roba che voi umani non potete nemmeno immaginare: è la tecnologia che consente di mettere in comunicazione e sincronizzare tra loro senza fili e senza inganni tutti gli ammennicoli possibili: cellulari con palmari, computer, frullatori, stampanti, tv, sciacquoni, ce ecc. Me lo sono fatto due mesi fa il Bluetoth e, già che c'ero, nell'ultimo anno ho rinnovato tutta la dotazione di computer e accessori; mi sono portato in casa il futuro e ho firmato richieste di carte di credito che mi costringeranno a lavorare sul catafalco.
Ma in compenso. In compenso il Bluetoth non sono ancora riuscito a farlo funzionare. E questo è niente, potrei essere un deficiente incapace: il fatto è che nemmeno chi me lo ha venduto, gente solitamente seria, è riuscito a farlo andare. E non solo: nemmeno l'addetto alle spighe dell'industria produttrice c'è riuscito. Probabilmente neppure che l'ha inventato aveva qualche idea efficace in proposito. A parte il meraviglioso Bluetoth, ho fatto i miei conti e ho scoperto che nell'ultimo anno ho passato più tempo a imparare come funzionano le cose che ho acquistato di quanto ne abbia avuto per usarle. E le ho acquistate con il meritorio proposito di aumentare la mia produttività. E me le hanno vendute convincendomi che sarebbe aumentata enormemente.
L'unica cosa che ho incrementato in modo notevole è il tempo passato ad avvilirmi in surreali conversazioni con la forma attuale di assistenza clienti: il cal center. Dove ragazzi pagati 500 euro al mese e addestrati per corrispondenza si interrogano assieme a te su come sia possibile che niente funzioni come dovrebbe; nonostante sul foglio che gli hanno messo davanti c'è scritto chiaramente che basta fare così e così.
Maurizio Magioni IL SECOLO XIX 28/10/2002
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