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E' stata una vertigine di affabulazione |
Chiusi in casa, chini sulla scrivania, a catturare sensazioni, emozioni, visioni. Così i lettori immaginano gli scrittori. Chi scrive, di solito, è introverso, non ama apparire in pubblico più di tanto, Italo Calvino balbettava quando doveva parlare di sé. Ma non per tutti è così: Maurizio Maggiani è un animale da palcoscenico, ha un talento naturale e un rapporto privilegiato con l'oralità. Tanti genovesi, ben cinquecento a sera, sono accorsi al Duse, per sei lunedì di seguito, a sentirlo parlare. Un successo strepitoso per uno scrittore, se si pensa che cento persone erano costrette a tornarsene a casa. E lui lì, seduto, con le bretelle sopra la camicia bianca, pantaloni scuri, che parlava dell'anarchia, della storia del nostro paese, della sua famiglia di origine contadina. Il tutto al costo di tre euro: il Festival della Letteratura di Mantova insegna.
Maggiani, cosa ne pensa di queste sue serate al Duse? Che cosa c'è di diverso tra scrivere romanzi o racconti e incontrare il pubblico di persona?
La comunicazione orale è più interessante, piacevole e ricca. E tridimensionale. Lo spazio teatrale costruisce un rapporto magico. La gente è lì e ti aspetta. Aspetta che tu racconti, che tu riempi lo spazio di gesti, sguardi, ritmo. Non solo di parole. La comunicazione scritta costringe l'oralità ad appiattirsi e a ridursi. E' una comunicazione bidimensionale.
Quali sono le emozioni più intense che ha provato?
Mentre incrociavo certi sguardi, che testimoniavano una reazione positiva del pubblico, andavo in visibilio. E' un modo molto bello, anche se mediato, per stare veramente insieme a delle persone e costruire una relazione affettuosa. Non sono solo io l'autore delle mie lunghe chiacchierate, ma anche il mio pubblico. Gli autori siamo noi insieme. Non ho mai scritto un copione, ogni volta mi ispiro alla gente che c'è in platea. E si forma una complicità straordinaria. Quando scrivo, invece non riesco a percepire le reazioni e i sentimenti dei miei lettori. Forse ho qualche problema affettivo, ho bisogno di calore, di essere amato.
Perché così tanto successo?
Forse perché queste mie lunghe conversazioni sono indipendenti dalla scrittura, non sono organizzate per sostenere la vendita di un libro. Gli altri scrittori lo fanno perché lo devono fare. Io lo faccio perché mi piace e, se potessi, vivrei di questo. E la gente lo sente e mi dimostra molto affetto. Non posso non notare che Genova ha una relazione particolare con me.
Però questo suo successo è dovuto anche ad un suo talento naturale.
Beh, sono nato in una famiglia di contadini, come ho già detto mille volte, che mi ha insegnato l'arte del narrare. Ascoltavo e raccontavo storie fin da piccolissimo. Ho imparato a farlo bene e ciò mi ha salvato la vita. A otto anni ho vissuto una grande tragedia, sono stato costretto a lasciare il mio paese, Castelnuovo Magra, perché la mia famiglia si è trasferita a Spezia. Ho scoperto la solitudine troppo presto. Non sono riuscito ad ambientarmi in città fino a quando ho raggiunto i quattordici anni. Così ho iniziato a raccontare storie agli altri per fare amicizia. Insomma sono diventato un contaballe.
Maggiani sta girando l'Italia per presentare il suo nuovo libro, la raccolta di racconti E' stata una vertigine, un tour che toccherà quaranta città. Come reagisce il suo pubblico, abituato a romanzi lunghi?
Lo zoccolo duro è rimasto interdetto. Si aspettavano un altro romanzo. Ci sono anche molti lettori che mi hanno scoperto con questo nuovo libro. A vedere le vendite, pare che piaccia. A maggio mi fermo perché voglio iniziare a scrivere una vera grande storia.
Spesso viene invitato al Maurizio Costanzo Show, ha lavorato in televisione come conduttore de La storia siamo noi, che rapporto ha con questo mezzo di comunicazione?
Da Costanzo ho il privilegio di dire quello che penso e di parlare a quattro o cinque milioni di persone. Non mi hanno mai chiesto di stare attento a quello che dico o di esprimermi con cautela. E' una prova difficile da superare ogni volta, non è facile dire quello che senti con tempi così stretti, con compagni di banco spesso rissosi. Non devi farti influenzare dall'umore degli altri. Non sono mai profondamente tranquillo, ma nemmeno agitato. Certo è che ogni volta che torni a casa dopo essere stato ospite al teatro Parioli, mi viene una colica addominale. Al Duse era diverso, ero io a decidere i miei tempi.
Intervista di Laura Guglielmi IL SECOLO XIX 11/03/2003
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