MUSICA |
Ieri ha cantato nel grande concerto con 99 Posse e Meganoid, davanti a ventimila fans. Il primo segnale forte del Genoa Social Forum, in un clima di festa responsabile. Oggi , Manu Chao parteciperà alla marcia dei migranti. Ma l'artista franco-spagnolo, idolo degli anti global, mantiene la promessa. Si comporta come uno dei tanti contestatori del G8. Senza pose divistiche.
Manu, lei torna a poche settimane dalla sua esibizione al Goa Boa Festival.
E Genova non è già più la stessa. La zona rossa è come un castello fantasma. E l'aria che si respira è un po' isterica. Ma questo si può dire di tutto il pianeta.
Cosa prova davanti alla città blindata?
Mi chiedo quanti soldi sia costata. Ma quello che mi sorprende di più è che le otto persone più potenti del mondo siano asserragliate in una cittadella.
Quindi non sono così potenti?
Se lo sono, si difendono con il terrore e la paranoia. Perché si devono nascondere?
Dicono di rappresentare otto paesi eletti democraticamente.
Ci sono paesi in cui la democrazia non è un gran cosa. Dove l'economia decide sopra la testa dei governanti, e dietro la facciata democratica si nasconde la mafia. Quella la chiamo dittatura. La mafia è una dittatura terribile. Come in Messico, uno stato dove regna la corruzione. E ci sono paesi regolati dal traffico d'armi e di droga. Lo sa persino l'FBI che molti paesi dell'America Latina si reggono su questi traffici.
Insomma, non c'è speranza nemmeno in democrazia?
Ma certo che ci vuole speranza. E' l'unico carburante. Non funzionerebbe più nulla. Cosa faresti? Incroci le braccia? Orribile. Non potrei mai farlo. Un giorno avrò una famiglia numerosa e dovrò pensare a sfamarla. Senza speranza, si rischia il nichilismo, si diventa fatalisti. Si prendono pillole, ci si abbruttisce in discoteca. Io invece credo che bisogna cambiare le cose.
Con un nuovo ordine economico o una rivoluzione?
Difficile dirlo, io non sono un economista. Però so che, prima di tutto, devo cambiare me stesso. Poi proverò con la mia famiglia. Quindi con il mio quartiere. Può darsi che arrivi a cambiare la mia città, ma non posso pensare di riuscirci anche a livello nazionale. O internazionale. Perché diventare importanti è rischioso, Puoi essere inglobato, cadere nei tranelli dei media. Se ci dev'essere una rivoluzione mondiale, sarà quella di mille quartieri che si organizzano per funzionare meglio. Ed è una rivoluzione incontrollabile, non si torna indietro.
Teme la strumentalizzazione?
Il sistema è bravissimo a inglobare qualsiasi nuova idea. Non importa quale. Ma recupera velocemente. Nella musica è evidente: per fagocitare la protesta di Bob Dylan ha impiegato meno di dieci anni. Anche se non fa parte del suo credo. E adesso è ancora più veloce. Con il marketing, si può pilotare persino la ribellione. Molti la usano per vendere, che sia Nike o Mtv.
Ma per lei, il potere ha paura?
Certo, barricarsi nella zona rossa è un segno di profonda debolezza. Quei muri di metallo lo gridano forte. Se vogliono mandare un messaggio, ci sono riusciti: hanno paura e si sentono deboli.
Forse temono violenze.
La violenza non è mai una soluzione. Ma ce la troviamo dappertutto. L'economia mondiale è ultra violenta. Uccide tutti i giorni, senza sporcarsi le mani di sangue. In Africa, i giovani muoiono a migliaia. Nel Sudamerica la droga è proibita, ma le gente si uccide per il controllo della cocaina. E' il sistema ad essere violento. Sono loro i violenti, che non smettono mai di confondere le cose. La violenza va canalizzata: io ci riesco, in qualcosa di positivo. Lo posso fare perché ho i mezzi. Ma altri non ce la fanno. Non è poi così facile. Uccidono migliaia di persone ogni giorno: di fame, malattie, sfruttamento.
Vuol dire che non ci può essere dialogo?
Significa che trattano tutti come violenti, ma compreso. Un mese fa ho cantato a Milano davanti a 100 mila persone. Era il mio compleanno, me ne stavo nel backstage con mia madre e mio padre. Arriva la polizia, stende un cordone e noi siamo usciti come terroristi.
Avranno voluto difendervi.
E a Tarvisio, allora? Il concerto era blindato da poliziotti in assetto di guerra. Perché lo stato ha deciso che il mio pubblico è violento? Perché ci fanno passare come tali? Io non lo sono: mai avuto problemi in vent'anni di carriera. E allora perché circondano il mio show con poliziotti in casco, pronti a menare la mani? E così che succedono gli incidenti.
Lei oggi farà la marcia dei migranti?
Sì, è molto importante.
Quarant'anni fa c'era Bob Dylan, oggi c'è lei.
Non ci credo e non ci penso. Ci sono artisti impegnati, altri meno. Li rispetto tutti. La creazione, l'arte sono libere.
Lei è libero?
Sì, perché sono fortunato. Ho il denaro per permettermelo. Purtroppo la libertà si compra. E per chi non ha una lira, la libertà economica è più importante di quella creativa o intellettuale. Ecco perché siamo a Genova, a protestare. Perché la libertà è un diritto, non una merce.
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Intervista di Renato Tortarolo IL SECOLO XIX 19/07/2001
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