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Se la guerra diventa un tabù |
Non
tutti sono fotografi di guerra, ma quasi tutti i
fotografi si sono trovati a contatto con la guerra nella loro storia
professionale. Una guerra che ininterrottamente è presente dal
cosiddetto dopoguerra a oggi: centinaia di conflitti in tutto il
pianeta, 900 miliardi di dollari ogni anno in armamenti, oltre 86
milioni di morti, di cui l80% civili, 35 conflitti aperti nel
2002, unaltra inutile e insensata guerra in arrivo.
Molte
cose nella storia possono cambiare. La schiavitù per esempio e
la tortura sono state ritenute per lunghi anni inevitabili e fatali:
al tempo dei romani possedere uno schiavo, venderlo o comprarlo era
considerato un diritto naturale. Oggi, almeno
teoricamente, la schiavitù e la tortura sono state bandite e
chi le pratica lo fa di nascosto. Si è stabilito il principio
della inumanità del possesso legale di un individuo da parte
di un altro.
Naturalmente in molti paesi, come denunzia anche
Amnesty International, si continuano a vendere e comprare essere
umani, soprattutto donne e bambini, da sempre alla mercé dei
più forti. Però nessuno più pensa che ciò
sia lecito e legittimo, e chi commercia in carne umana cerca di non
farlo sapere in giro perché si rende conto di trasgredire a
una legge accettata ormai da tutti.
Molti pensano che la guerra
sia una fatalità, qualcosa di ineluttabile ed eterno, come un
destino a cui prima o poi dobbiamo soccombere. Perché non
credere invece che, come è stata abolita la schiavitù,
così la guerra può essere fermata e sostituita con la
contrattazione, la diplomazia internazionale e un sistema di
controlli polizieschi? Chi crede nella pace dovrebbe lavorare perché
la guerra diventi un ricordo del passato, anche se ciò può
sembrare per il momento una utopia. È chiaro che per arrivarci
dobbiamo compiere una trasformazione culturale profonda, che
comporterà rinunce e modificazioni anche dolorose del nostro
pensiero! I motivi per cui si pensa che le guerre debbano esplodere
sono di varia natura: ci sono le rivendicazioni territoriali, le
dispute sui confini, le questioni religiose, le vendette storiche, le
ragioni di mercato e di supremazia militare o politica, ma spesso
sono solo dei pretesti che celano ragioni di rivalità
politiche interne, odii irrazionali, debolezze da coprire con la
creazione di un nemico esterno, questioni di volgare potere personale
e interessi di classe o di corporazioni e lobby economiche. Se ci si
riflette sopra, si scopre che al novanta per cento questi falsi
pretesti potrebbero benissimo essere smascherati e risolti in altro
modo.
Quando si parla di una cultura della pace, cè
sempre qualcuno che tira fuori Hitler e la seconda guerra mondiale:
si sarebbe potuto fermare il nazismo senza la guerra? La risposta più
sensata è: in una cultura della pace, Hitler non avrebbe avuto
lo spazio per imporsi e fortificarsi. Ma ci sono sempre dei pazzi,
dice qualcuno, degli assassini, dei criminali che vogliono il male il
male degli altri. E come fermarli? La risposta è che una
cultura della pace dovrebbe comunque essere accompagnata da un
sistema di controllo internazionale. Se ci fosse stato un organismo
di questo genere, che avesse raccolto la rappresentanza di tutte le
nazioni, e se questo avesse avuto la forza che oggi lOnu ancora
non possiede, incapace perfino di fare attuare le sue risoluzioni. Se
ci fosse stato un organismo dotato di un sistema di polizia
efficiente, alla prima invasione nazista, Hitler sarebbe stato
fermato, magari con unazione forte, ma che obbediva a un
regolamento democratico, rappresentante la volontà di tutti i
paesi.
A questo proposito Moravia, che negli ultimi anni della sua
vita si è molto occupato di pace e di guerra, diceva che
bisogna creare un nuovo tabù. Così come gli uomini
hanno creato la interdizione dellincesto, diceva Moravia,
dovrebbero creare il divieto della guerra, un divieto interiore che
diventi tanto abituale e sacro da allontanare «naturalmente»
gli uomini della guerra. Gli animali praticano lincesto, così
come gli uomini primitivi, prima dellesogamia, lo usavano con
molto tranquillità. Con lesogamia, come spiegano grandi
antropologi quali Malinowski, gli uomini decisero di creare il tabù
dellincesto per uscire dal proprio gruppo ristretto e attuare
lo scambio con altri gruppi sociali, in modo da poter espandere e
diffondere le conoscenze che permettessero di affrontare e
controllare la natura ostile. Questo tabù sarebbe alla base
della civiltà. Una legge del tutto artificiale, che è
nata dalla necessità di proteggere, rinforzare e migliorare la
razza umana. Una interdizione che nei secoli viene introiettata, fino
a diventare un istinto, sentito da tutti come assolutamente naturale.
Non è che una volta affermato il tabù, i rapporti
sessuali in famiglia siano cessati, naturalmente, soprattutto il
rapporto abusivo padre-figlia che nelle società patriarcali si
ripete di generazione in generazione, ma lincesto viene ormai
vissuto come una infrazione della legge naturale e nessuno si sogna
di chiedere la sua legittimazione.
Anche per la guerra,
linterdizione che nascerebbe dalla necessità di
preservare la razza umana dallo sterminio di massa, reso ormai
inevitabile dalla guerre nucleari, allinizio potrebbe sembrare
innaturale e forzata, ma poi finirebbe per imporsi, insinuandosi
nellanimo umano, fino a stabilirsi come un vero istinto
naturale. Naturalmente conati di guerre locali continuerebbero a
mostrarsi, ma non sarebbero più legittimate dai paesi.
Laggressività e la violenza si possono incanalare,
fermare, limitare, ma non certo eliminare.
Costruire una cultura
della pace non è solo un sogno, anche se non è una cosa
che si possa creare da un giorno allaltro. Qualcosa daltronde
è già successo: il fatto che, nonostante situazioni
politiche internazionali molto critiche, si sia riusciti a evitare
una guerra nucleare, è segno che la pericolosità di una
simile guerra è già entrata nella coscienza dei più.
Quello che bisogna fare ora è estendere questa presa di
coscienza, ricordando, attraverso la scienza e la divulgazione, che
il potenziale distruttivo delle armi atomiche diventa sempre più
funesto e dirompente, e una guerra atomica significherebbe la
distruzione del pianeta. Una volta le guerre erano relativamente
piccole e ristrette, si combatteva con armi rudimentali, gli eserciti
si scontravano ed erano soprattutto i guerrieri, pronti a dare e
prendere la morte, che si ammazzavano fra loro. Oggi le guerre
riguardano sempre meno gli eserciti e sempre più i civili che
vengono sacrificati brutalmente per interessi che quasi mai li
riguardano da vicino. Questa è unaberrazione. A decidere
la guerra sono i politici e i militari, ma poi chi muore sono
soprattutto i civili, i deboli, i fragili, i bambini. Il che
significa un attentato al futuro del mondo.
Insomma cominciamo col
dire qualcosa di nuovo, che va contro tutte le abitudini
linguistiche: che le guerre non sono eterne, che possono essere
fermate, che tutte le liti possono essere regolate da un organismo
internazionale che rappresenti realmente gli interessi di tutti i
paesi. Anche questa trasformazione della guerra, da scontro di
eserciti a sacrificio dei più deboli, deve farci riflettere
sulle ragioni della pace, che si fa sempre più necessaria e
impellente. Le popolazioni del mondo hanno il dovere di fare sentire
la loro voce, che conta, conta più di quello che si crede,
perfino un dittatore ha bisogno del consenso interno ed esterno per
scatenare una guerra.
Questo testo appare sulla rivista «Fronti
di guerra» che trovate da oggi in edicola, in vendita con
lUnità
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