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MARINA PIZZI

Le storie della sera


Le storie della sera


Le storie della sera

quando il cipresso

pari fratello solo,

d’incanto l’atrio

sa aprirsi bosco,

parimenti il coro

confessi nelle nanne

ultimi bagliori i vinti.


Ammettici alla vita

che senza rimedio esclude,

un fato acerbo lasciaci

sotto il guanciale insieme

al primo dente da latte

caduto nel dirupo.

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Razzia di sale l’andartene

in antro alle staffette delle perdite

conserte, ma gridi pur comunque, se giacché

sfracelli di erbe viete

quando la trappola del binario morto

nel fiato delle nebbie sappia pena.

Il mare del soldato è la paura

dell’attracco del naufragio del siluro

del sommerso dell’alloro galleggiante

quando la casa è un sorso di arcipessime

bandiere e simulacro il credo.


Non velatele il corpo del viso non fu santa

né Maddalena di passioni la lena di non farcela.

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Appena giubilo tornerà di eco

una vela rossa nei margini

del dado tratto, quasi nodulo

di avvento. Così beghino l’antro

reazionario terminerà le regole

del ghigno verso il contro.

Mio padre vestito da tennis

sull’alto sedile dell’arbitro

chiosa di nuvola il sorriso.

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Apici di vento questo ristagno

badato da agoni.

Corsia per il coperchio della bara

appena dopo.

In pole position il seme del sangue

dimentichi le lavagne che ancora inseguono

come districare gli occhi.

Vidi una volta sola quando

domandai la strada senza trovarla.

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Le ernie faticose di nessuna fortuna

almeno l’astio del controvento

flettano. O almeno il tarlo

(il matematico della cenere)

rendano svogliato.

In cima alla diga di montagna parlai

quasi un’ultima volta con mio padre

che già dall’eco era in indirizzo

nonostante l’agonia di quartiere

l’afa romana rottame e flagello.

Lo strapiombo di asfalto sempre lo sfatare

di qualunque risata di armistizio.


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