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MARINA PIZZI |
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La litania del giorno dopo |
La litania del giorno dopo
Porgi la coroncina di petali a chi salta in aria senza passare per la modica cifra degli angeli fratelli né tra quelli che si mischiano alla cenere.
Salvi i marchi di tutti i commerci troneggiano nei non-luoghi di chi vaga cliente della noia solo a guardare altri che non guardano guardando.
Dominio di coriandoli l’amor mancato fin da quando le more dell’estate stanno alle gerle del lunario al batticuore di chissà quale appuntamento litania del giorno dopo poco fata di darsena. ***** ***** ***** Energie del secolo l’abisso il tuo nome consumato in tralice senza l’abbraccio in cima al cipresseto dove finalmente pianga l’amara cornucopia in farsa tutta. Mai tornato dalla trebbia del deserto ti corro al collo amante più che unico confesso che ti gioco grandine di dentro. Costanza di natura il tuo ventre stambecco sulle resine di ogni lapide. ***** ***** ***** Nonostante la chimera dentro mi risieda azzoppo il mio forziere nullo dal fuori nullo dal dentro. Nessun resto ne rimanga appena questa stanza dichiari secessione scisma senza secolo né con la gara un altro grado aggiunto lo spalto del rimosso quando godevo il seno. ***** ***** ***** Ti guardo con il brevetto sulla fronte, ma non sei salvo. Gattabuia eloquente questa nascita voglia la soglia della bestia non macellata della pace la lezione in ogni zigomo. A monte non verrò per darmi penitenza né da mane a sera a lavorare il teschio che di persino ed anche nelle mani degli amati amanti frulla. Coriandoli di comete averti semmai da adesso non verrà la giungla del coma sempre ragazzino. ***** ***** ***** Cornucopia di stenti zero a zonzo sillabario di gelo il tarlo del cielo. ***** ***** ***** Dì per dì finì la forza d'edera del muro il cofanetto delle mani. Sconcio di terra perdite di Dite. ***** ***** ***** Di un tragico scarlatto il tuo mestiere breviario senza pace colma alluvione. Biblioteca senza silenzio la tua resa braccata dalla casa senza pace piena di pece in coda alla pendenza. Non basterà commettere una nuvola farsi di nuvola, nulla farsi nulla, né fato di cristallo caso di fanga. Strapiombi di assassini accatastano le salme. Bambini, i rondinini alle sevizie. ***** ***** ***** Non darmi ernie al vólto né costi eccessivi tra marine di pece cedole di affitti tra disdette ferite palco ai condannati. Altra dovizia di vite alla vendemmia mai avverrà dal cauto ottimismo né dal faro amato dalle stelle velatissime ormai rese scialbe da Las Vegas. L’aria ariana degli dèi cattivi anche nel sonno uccide rondinelle e rospi. ***** ***** ***** Strappo il mio ritratto voglio sparire nelle lontane anse nel se del cielo. Per un tiro mancino la mia nascita volse al silenzio della pena àtava all’ira della chiosa contro il romanzo alla non novella. Semmai ti venga di scortarmi amico porta con te l’urto del ferale calamaio in cui io possa legarmi mani e piedi per non restare. ***** ***** ***** Apportale la voce che sia l’ariosa altana di una volta con la riva, in perno alle stagioni tutte sapide per la tema del pozzo non concessa all’ilarità del fato. Saltello di cometa veder natale finalmente dall’arresto della pece. ***** ***** ***** Col muso in appello per una ciotola (unico strazio di candore strazio candido) vieni nel singhiozzo segnato dalla giuria. Nemmeno con uno stratagemma posso salvarti dacché il museo del cimitero di guerra verte, lo sai, su condoni senza corpo. Le belle stanze delle faccende madri uccisero chiunque, compresi i fuggitivi e le violette delle parvenze.
L’inferno delle braci dette altana al sale che si riflette dentro i libri. ***** ***** ***** Il vento piccolo di settembre faccia breccia nel coma dell’alfabeto. In una calunnia di agosto l’ago del tuo bene se ne andò per settembre. ***** ***** ***** Le fole in seno sono le madri pendule dai fossi regali con le pene delle perdite. L’atrio minore, il portico minore ho salvati, l’androne l’ho perso nel furto delle scarpe. ***** ***** ***** Parli ormai con l’ombra nella voce che organetto di brace pare alluderti quale fosti quando qui sul petto eri uomo e ragazzo in forma di gaiezza. Una grana di cielo fosti a lungo anzi sul ciglio della strada vuota ti venga accolta la foggia che ti spetta così non piangerò giammai mai più. ***** ***** ***** Salutami la gioia, di me ho fatto scempio nell’alone del vuoto che scombina ti dirò la rondine vanesia asessuata e sola il pianto ossuto da olio santo. In breve la brina del mio nascere ebbe la frusta della stalla la censura della paura la foga della giostra senza salirci. ***** ***** ***** Una camera di conforto quasi un eremo nel modo della rondine vicina e del ciliegio carico. Così dal bivio della rotta vuota le perle senza gancio spazieranno in terre senza maghi né vestali preparati all’attacco. Nessun amante pianga sul disperso nel grumo della piaga che lo rese cenere viva strazio senza resa. La remissione del contagio sia comunque il balbettio del plasma più benigno felice oltre i lingotti di tesori in cielo. ***** ***** ***** A meno di concerti bene affettivi non partirà l’arrivo della rondine giammai giammai più fasti di vasti gridi. Il natale del comignolo di spari attenda alla risposta ogni stamberga tutte le patrie in un circo di felicissimi funamboli. ***** ***** ***** Assunto ad abaco il sudario so la maretta della corsa in gioco con la certezza di lasciare la fune del coriandolo senza la lode del magistero al fato. Al vetriolo la pena di scemare sotto lo strascico dell’ultima sposa la costa senza terra e senza mare nemmeno nella foce a delta l’ultima miniera. ***** ***** ***** Ne uscì la darsena con un furore di enigma. Il periglio dei mozzi fu la pena di tutta una vita. Confinata la rotta del grande amore grande che declina la lira del poeta in fossa e tomba. Anche il Natale non riesce ad accendere la noia dei bambini per la gioia, nelle falle del muro l’orizzonte. ***** ***** ***** Germoglio in quiete l’ozio della riva oltre il gendarme della falce appesa nell’attesa. Sì, il calendario è ripido dilemma, quanto fazioso ragazzo di curva di stadio. Uncinate le frontiere della mente oltre cortina spedisci, scendi da te la piramide egoista. ***** ***** ***** Nel palio della luce il tuo volto quando morente ti cedevi il passo alle campane marinate a scuola. In un apice d’inverno in un apice d’estate la selvaggina delle piaghe quando la gemma manca già per sempre, intatte le mansioni delle resine il sì di pietra il no dell’inganno. ***** ***** ***** Nei molti addebiti al mare di sfinge trovo la luna grafica dei gatti quando ai bambini fingono le favole. ***** ***** ***** Anche le tenebre sono di scarto nel basto dell’attendere malta la rifinitura. ***** ***** ***** Dalla cortesia di un alligatore andrà sbranata questa convalida a vita inarrivata. Dalle morie vastissime con spalti di fenice crepa, rinasce (crepi, rinasca) l’apologo del sale quelle vendemmie accorse in ogni battito dal tetto alla cantina per incanto di spasmo per abbraccio. Sale intanto sempre più in alto l’arsione di ogni condannato. ***** ***** ***** Atelier di cielo averti a vita appena poco etimo di strazio
con un pensiero che spesso mi sbilancia vòlgo al termine in scatole cinesi. ***** ***** ***** Le strategie del giorno addietro corrotti indici. Tradotti in gergo i crampi reso innocuo amore un ululato il bavero al passante. Speranzosi crisantemi di dettagli con le meningi fioccano preghiere. ***** ***** ***** In questi gironi di giorni ho reso l’indice per la chiarità del fraterno contro il frainteso, pro la rotta acerrima compagna con lo zero nel vólto e le stazioni divelte. ***** ***** ***** Tra messi d’erba spina e viottoli amorosi l’arsa costanza d’un breviario d’epoca quando l’appello della mani giunte convinse solo apolidi e porti in pozzi: senza la gioia lo sguardo delle steli. Assassinate dal vento le gite nate al martirio delle mani vuote appese per i polsi del sale in cattedra. ***** ***** ***** Hanno abraso l’indice quasi del tutto cancellato. La casa recintata dalla cancellata gli somiglia. Tra staffette di erbe ha visto i mesi dalle zolle epifaniche vedette di vendette oltrepassare senza arrivare. Orfanotrofio del filo d’oro lo sguardo del servo prima dell’alba. Nel panico delle evidenze la rupe almeno simuli il corpo delle atlete quello del salto. ***** ***** ***** Con il martirio nella voce so apprendere decesso dalle pertiche del fato le migliorie del sale senza affanno. In fatto di calamita il mio martirio ha voce raganella quasi con gioco infante. Forte di un nuovo sillabario l’antro mi farà regalo della gaia cetra molto convinti gli amorosi sensi. Augusto nel berretto del monello il
cucciolo del gusto ritrovato ***** ***** ***** Senza un gocciolo di stasi voglio andarmene guarita dalla ronda dell’eclissi. La forca che tortura anche il sorriso non sia madrina di nessuna sfera e la domanda crepi in fondo al pozzo. Senza la lira del poeta l’utile dismetta e finalmente un atrio senza scuola sappia l’alfabeto delle genti. Nessun altare appaia all’orizzonte nell’onta di un presidio di comando in supplica perenne. ***** ***** ***** |
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