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Ci vediamo alle Giornate del Cinema |
Maselli ha ancora il loden addosso mentre dice: aspetta, ho il foglietto in tasca, perché se non l'hai letto è bene che tu la sappia questa cosa di Urbani. Urbani il duro si fa per dire l'uomo che comunque vuol dimostrare di esserlo a quel Berlusconi che deve averlo sfottuto un bel po', a suo tempo, per come aveva chiuso la vicenda della Biennale e della Mostra del cinema: Bernabé presidente, Moritz de Hadeln direttore. Ma che ti ho messo a fare lì alla cultura se mi consegni di nuovo la Biennale ai comunisti? Se Berlusconi non glielo avesse rimproverato, probabilmente Urbani avrebbe ceduto alla sua indole che dev'essere, tutto sommato, mite. Invece, eccolo sotto i riflettori a far la parte dl cattivone che sfascia la Biennale mentre cerca di metterle i ceppi. Il suo potere dentro il cda dell'ente veneziano è cresciuto con la sua riforma, l'ha fatta per questo, e a gennaio si rifaranno i conti. Se tutto va nella direzione che il ministro sembra indicare, saltano sia Bernabé che de Hadeln, un successo per Silvio, su ordinazione. Ma il problema e lo sanno, non è spaccare sono guastatori di professione il problema è, come quasi sempre, la toppa: e dopo? Rileggiamo le parole usate da Urbani e sottolineate da Maselli per mettere in mora l'attuale direttore della Mostra del Cinema in una intervista rilasciata al Corriere: Il concorso è stato molto positivo, ma io intendo anche quello che ci sta intorno, gli eventi, le presenze internazionali, le esibizioni, personaggi autori; vuole la fuffa: sarebbe qui la defaillance della gestione de Hadeln Una sciacquetta di pretesto, vero Maselli? Sarà, ma sono preoccupato; più dicono cose che a noi sembrano sciacquette e più mi preoccupo: sta facendo scuola questa linea che alla sinistra, alle persone di buonsenso e minimamente acculturate, appare come una fuga nel paradosso più fesso. Insomma, penso che a suo modo sia una via intelligente per mettere le mani sulla città, per impossessarsi di tutto ciò che una funzione più direttamente culturale: guardati attorno e unisci la Gasparri, la legge Cinema e la riforma della Biennale; ne esce un disegno, una strategia. Dubito che insegni qualche cosa, ma che la sinistra, le forze di opposizione si sentano stimolate da questa evidenza a mettere assieme un progetto che abbia al suo centro cultura e comunicazione, è una conseguenza che mi auguro... Se tutto degenera a questa velocità, mi sa che tra qualche giorno non sarà più soltanto uno spaventapasseri l'ipotesi di tornare, come si dice, sulle barricate che avete tirato su agli inizi degli anni '70 con le Giornate del Cinema... Conviene aspettare che la digestione sia completata. Non voglio dare per scontato che de Hadeln sia eliminato con questa brutalità e con queste insulse motivazioni. Ma ci teniamo pronti, stiamo lavorando per non trovarci impreparati. Sono delegato generale della Federazione europea dei realizzatori dell'audiovisivo e ho tastato il terreno: non avremo problemi a raccogliere la disponibilità della stragrande maggioranza degli autori europei; la triste fama di cui gode Berlusconi in questi ambienti, e più in generale in tutta l'intellettualità europea, è una garanzia di partecipazione, accorata per di più. Siamo in fase di premobilitazione. Per fare? Quello che abbiamo fatto in due occasioni nel 1972 e nel 1973, quando organizzando le Giornale del cinema a Venezia abbiamo prima svuotato la Mostra e poi l'abbiamo costretta a chiudere i battenti. Venezia aveva il suo festival ma in Campo Santa Margherita e in alcuni suoi cinematografi. Avevamo cercato di canalizzare le spinte del movimento in una direzione riformatrice: volevamo le riforme e, devo dire, fu anche grazie a quelle iniziative che alla fine arrivarono; furono riformate la Biennale, la Rai, il cinema. Avevo trent'anni di meno... Pensi alla fatica? Sì, penso alla fatica: fu grande. Avevamo iniziato nel '68 con l'occupazione del Palazzo del Cinema al Lido. Arrivarono le forze dell'ordine e ci massacrarono. Che potevamo fare? Mica era la rivoluzione, quello ci sentivamo di fare e quello facemmo. Poi, nel '72, tenemmo a battesimo le giornate. E i soldi? Costerà allestire un apparato di questo genere? Nel '72 raccogliemmo e spendemmo dieci milioni di allora, niente anche allora, per una rassegna che comunque aveva ospitato, cito a casaccio, Antonioni, Bellocchio e Godard. L'anno successivo fu più facile: mettemmo assieme tutte le sigle culturali d'Italia, dell'Arci a Psichiatria Democratica, i sindacati ci stettero al fianco, il comune di Venezia fece la sua parte e gli esercenti ci diedero sei sale gratis per nove giorni. Oggi? Credimi, se c'è la volontà politica si fa tutto e io penso che la volontà politica ci sia. Allora il Corriere della Sera scriveva pagine intere sulle Giornate mentre sull'Unità Napolitano salutava la vittoria delle forze intellettuali. Oggi si può contare ancor di più su una dimensione europea della mobilitazione, pur sapendo che anche gli americani, almeno alcuni di loro, non si tireranno indietro. Intendo gli autori, ovviamente. L'Anac, che rappresenti, non ha dubbi in proposito. E l'Api, l'associazione che mette assieme autori più giovani e produttori? Quello degli autori è un linguaggio che non sempre può coincidere completamente con quello dei produttori, ma c'è la sensibilità giusta anche lì, e non avremo certamente problemi a lavorare insieme. Poi, c'è l'iniziativa messa in campo da Felice Laudadio che ha chiamato a racconta gli ex direttori della Mostra...E' positivo, siamo pronti a sintonizzarci con lui. Se accadrà di nuovo che la tigre quella citata da Dario Fò in una sua vecchia parabola cinese si svegli, forse vorrà dire che lo scippo c'è stato davvero ai danni della Biennale e della libertà in Italia... Se spazzano de Hadeln concludono un vero scippo, furbo e brutale. Del resto, Urbani oggi pretende di dire come dev'essere la Mostra del Cinema: il potere politico non lo aveva fatto nemmeno durante il fascismo. Il ministro accusa il direttore del festival di scegliere i film senza pensare al pubblico: cosa fa? Annuncia una strategia culturale e la impone stravolgendo la linea della Mostra armato di una logica mercantile profonda: non gliene ne importa nulla che la storia della rassegna dica tutt'altro, che si tratta di una Mostra d'arte cinematografica e non di un banchetto di una fiera. Me ne frego: questo loro stile ricorda qualche cosa di triste e di vecchio eppure l'indifferenza arrogante sembra proprio il motore del loro fare.... E' la loro forza e anche la loro debolezza. Mi chiudo chi avrà lo stomaco di accettare la direzione della Mostra dopo un'eventuale defenestrazione di de Hadeln. Avranno il loro bel daffare per cercare quello stomaco. Ci sarà un vuoto ed è lì che li aspettano. Intervista di Toni Jop L'UNITA' 21/12/2003 |
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