Creuza
de Ma, il lavoro di Fabrizio De André e Mauro Pagani
del 1984, è l'unico disco italiano presente in tutti i
grandi libri sulle musiche del mondo, amato da David Byrne e
citato in tutte le discografie sul mare nostrum. Un album
di straordinario artigianato sonoro, uno squarcio mediterraneo
con un magico equilibrio di antico e moderno, dialetto genovese e
strumenti acustici. Venti anni dopo l'ex violinista della Pfm ha
deciso di risuonare quelle musiche, di rimettere mano a quelle
canzoni anche se il vecchio capitano, il cantautore genovese, se
ne è andato. Da qualche giorno è in circolazione
Creuza De Ma, 2004, il primo magnifico disco delle
Officine Meccaniche, la nuova etichetta del polistrumentista
bresciano. L'altro Creuza de Ma era un disco
`alla Salgari', il lavoro di due che non si muovono da casa loro
e si immaginano un mondo di turchi, di pirati, di arabi senza
partire mai - dice Pagani - Nel disco i turchi hanno delle
parrucche, i pugnali sono di latta, le vele sono semplicemente
disegnate ed è anche il bello del disco, quello che lo
rende fuori del tempo. Il disco, quando lo senti, ha una patina
di non contemporaneità, ha un qualcosa dei dischi che mi
piacciono molto. Prendi Stg.Peppers dei Beatles quando
esce è di colpo fuori dal tempo, ha questo distacco,
questa sottile ironia, quest'occhio leggero e un po' letterario.
Poi siamo andati avanti abbiamo fatto le Nuvole e la nostra vita
è andata come è andata e io quest'anno mi sono reso
conto che sono passati venti anni da Creuza de Ma e allora
mi è venuta voglia di fare il giro daccapo, di rifare un
lavoro in cui c'era già molto di mio, mi ero occupato
delle musiche che erano già delle scelte estetiche e mi
sono chiesto subito dove apro finestre, dove sfondo, dove cambio
i fondali. In qualche modo, diciamo così, ho portato più
avanti il viaggio. Ad esempio Creuza de Ma originale
cominciava con questa gajda macedone, una cornamusa, io l'avevo
sentita in un disco, avevo chiesto i diritti e l'avevamo
utilizzato perchè non ce l'avevamo il suonatore di gajda,
oggi invece c'è un cantore israeliano Emil Zhrian che
canta questa preghiera senza parole, un'apertura di finestra in
un classico mattino mediterraneo.
Undici brani,
legati ancora al senso del viaggio, al partire per mare,
ritrovando le donne del porto (A dumenega) o l'esattore
dei prestiti ('a pittima) in un colorato affresco
influenzato dal dialetto genovese (qui il bresciano della piana
chiede l'indulgenza per la pronuncia del vernacolo) dagli
strumenti tradizionali, dai tempi dispari. C'è un'altra
maturità, una maggiore sicurezza negli orizzonti, una
grande abilità compositiva. Gli arrangiamenti
sono un po' più caldi perché io questo materiale
l'ho suonato per anni con Fabrizio e poi l'ho sempre rifatto nei
miei concerti e quindi si è pian piano arrotondato -
aggiunge il musicista che ha presentato questo materiale in
Piazza del Campo a Siena, lo scorso agosto - In certi punti ho
sfrondato molto Sidun questo pezzo che sarebbe Sidone,
allora c'era appena stato il raid di Sharon, il testo di allora
parla di un padre che guarda il figlio morto e si chiede
perchè...In fondo a distanza di venti anni è peggio
di prima. L'unica cosa che unisce israeliani e palestinesi èil
dolore per la morte insensata dei figli, allora ho fatto tradurre
il testo in arabo e israeliano - lei è Mouna Amari,
una cantante, musicista e restauratrice al museo degli strumenti
di Tunisi, lui Zhrian- li ho fatti cantare insieme. Stavolta i
turchi ci sono davvero, i suonatori dell'Istanbul Oriental
Ensemble, due suonatori di clarino fantastici, un musicista con
l'oud, molti sardi, tre ragazze che cantano, c'è Gavino
Murgia, c'è Andrea Parodi che vocalizza metà in
genovese metà in sardo. A parte la cultura della taranta-
da Napoli al Salento - l'unica grande cultura popolare di questo
paese è quella sarda (basta guardare cosa pubblicano
all'estero). Con questa loro forte presenza i pezzi si sono piano
piano modificati, diventati più carnali, ad esempio a
dumenega che era bello ma un po' algido, letterario, quasi
un minuetto, qui è proprio un ballo sardo con le
launeddas, con le voci ben inquadrate, le stesse voci
che animano l'allegra passeggiata scandita dalle percussioni
Sinàn Capudàn Pascia, la leggenda di un
nostromo ligure che aveva salvato la vita al Bey e fu nominato
Pascià, poi ci sono tre pezzi che non facevano parte
dell'album originario. Uno è Megu
Megun, che era nelle Nuvole, che però era il
primo pezzo che abbiamo scritto noi due dopo Creuza e
l'abbiamo pensato come parte del progetto anche se non ne faceva
più parte. L'altro è Quantas Sabedes, frutto
di una lunga ricerca sulla musica galiziana del 1200/1300, sulle
canzoni dei pellegrini per il viaggio a Santiago de Composela e
sulle prime tracce di canzone profana, di questo autore Martin
Codax, a Vigo tutti lo conoscono, che fa parte della grande
tradizione gallega. Questo pezzo lo scrissi nell'81 pensando a
quello che facevano nel rinascimento, Ho tenuto il testo molto
musicale e ho rifatto la musica poi, in quel periodo, il pezzo
per caso è andato nella colonna sonora di Il sogno di una
notte d'estate di Salvatores, per questo Fabrizio allora si
arrabbiò e ho pensato di ricondurlo all'ovile ed è
un pezzo molto contemporaneo. Il disco si chiude con un
inedito dedicato al calar delle tenebre, Neutte, ricavato
da un frammento di Alcmane, ondeggiante su un bouzoki
semitradizionale. Uno dei progetti teatrali che non
facemmo mai per pigrizia e mancanza di tempo, era prendere i
lirici greci e qualche poeta arabo classico, tradurli in genovese
e musicarli. Ne abbiam parlato, questo frammento è stato
nei nostri appunti per un anno e mezzo, mi sono fatto dare una
mano da Vittorio De Scalzi che aveva lavorato con Fabrizio ai
tempi di Non all'amore nè al cielo. Questa lirica è
di una tale bellezza, forse la cosa più bella che parla
della notte, dell'oblio e della morte, un modo per mandare un
saluto all'amico che se ne è andato.
Flaviano
De Luca L'UNITA' 19/11/2004
Intervista
a Mauro Pagani
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