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Addio al nobile Manolo

Se n'è andato improvvisamente Vásquez Montalbán, il caro Manolo, come un anonimo passeggero della folla nell'aeroporto di una città dell'Estremo Oriente, come se ne sarebbe potuto andare uno dei suoi personaggi. Mi era appena arrivato qualche giorno fa l'ultimo suo libro, Happy end – Ma la storia non finisce qui, tradotto in italiano, come tutti gli altri suoi libri, da Hado Lyria, sua grande amica. Happy end i cui personaggi, tra gli altri, sono Humphrey Bogart e Hemingway, ma ancoa più triste, e amara, appare l'epigrafe di Céline che Montalbán ha apposto al libro: “Il meglio che uno possa fare quando è in questo mondo, è uscirne...”, però Montalbán, così del resto anche Céline, così ogni vero scrittore, è uscito da questo mondo lasciando un prezioso, vasto patrimonio letterario. La sua storia quindi “non finisce qui”. Era profilattico, sì, Montalbán, ma la sua prolificità, il suo assillo di una ininterrotta scrittura, era sempre, in ogni parola, in ogni rigo, nel segno dell'intelligenza e della fantasia, nel segno anche dell'ironia.

Avevo conosciuto Mánuel Vasquez Montalbán nel settembre del 1989, a Palermo, in casa di Leonardo Sciascia. Eravamo lì convenuti per recarci quindi nel paese agrigentino di Grotte, dove si sarebbe svolta la cerimonia del Premio Recalmare, fondato da Sciascia, e assegnato quell'anno appunto a Montalbán per il libro Assassinio al Comitato Centrale, il primo suo libro, credo, pubblicato da Sellerio in Italia. Sciascia, gravemente malato (sarebbe morto nel novembre di quell'anno), si rammaricò molto di non poter essere con Montalbán a Grotte, di non potergli consegnare personalmente il premio.

Ho incontrato poi tante e tante volte Manuel, a Milano, a Torno, a Barcellona. Una volta, a Barcellona, fu in modo casuale. Ero lì invitato dalla Generalitat di Catalogna e m'imbattei nello scrittore che, con un fascio di giornali sottobraccio, con passo lento, scrutando l'umanità che incrociava, come avrebbe fatto il suo Pepe Carvalho, si recava nel suo studio presso la Rambla. M'invitò a pranza in uno di quei ristoranti “tipici” che solo lui conosceva. Barcellona, Barcelonas, al plurale, come Montalbán ha intitolato un libro sulla sua città, è il luogo di Picasso e di Gaudì, di Dalì, Morò e Tapies; è la città de La piazza dei Diamanti di Mercè Rodoreda, della Ronda del Guinardò di Juan Marcè, de La risacca di Juan Goytisolo. E' figlio di questa Barcellona, Vásquez Montalbán, della Barcellona della pittura, dell'architettura e della letteratura, della città moderna e modernista, libera e libertaria, della città della nobiltà dello spirito e della democrazia, dell'orgoglio e della lotta contro ogni franchismo.

E Montalbán, anche se i personaggi dei suoi romanzi si muovono fuori da Barcellona, in giro per il mondo, si porta sempre dentro i segni profondi di questa sua straordinaria città. Di questi segni ci siamo arricchiti non solo per via di Pepe Carvalho, ma per tutti gli altri indimenticabili personaggi montalbaniani, da Galìndez, alla Pasionaria, per questi eroi della più nobile Spagna. Nobile come te, Manolo. Addio.

Vincenzo Consolo – L'UNITA' – 19/10/2003

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