Ce
la ricorderemo. Per non si sa quanto tempo. La «manifestazione
per la giustizia» dellUlivo. Convocata da un
«comitato autoconvocato di parlamentari» dellUlivo
per riallacciare il rapporto con «la gente dellUlivo».
E trasformatasi qualcuno dirà in uno «psicodramma»,
altri diranno «unutile frustata». Sicuramente
un episodio che racchiude tutta unepoca. Con lo striscione
surreale che riproduce la scritta sacrosanta che campeggia nei
tribunali: «La legge è eguale per tutti». Per
dire che un principio che consideravamo ovvio, in epoca
berlusconiana bisogna appassionarsi e portarlo in piazza come uno
slogan. E con Nanni Moretti che alla fine, proprio alla fine, a
sorpresa sale sul palco dopo gli «interventi conclusivi»
di Rutelli e Fassino. Dicendo - Moretti come in un film di
Moretti, gli occhi sgranati, le mani nervose - alcune «cose
di sinistra», sgradevolissime per «la burocraczjia
che sta alle mie spalle». Per «questo tipo di
dirigenti dellUlivo» che «non hanno capito
nulla» di questa manifestazione e che, se rimarranno, «non
vinceremo mai». Oppure: «Il problema del centro
sinistra è: ci vorranno altre due, tre o quattro
generazioni per vincere?». Si era scelta Piazza Navona,
la più bella piazza di Roma. E questo sabato - che ci
ricorderemo - di una settimana rovente per il rissoso condominio
di centrosinistra. Settimana da dimenticare. Che ha lasciato
ferite nellanima profonda di un «popolo» già
deluso dal risultato elettorale e adesso disorientato dalle
divisioni. Quattromila per la questura, diecimila per gli
organizzatori. Ma sono più interessanti le «zummate»
di dettaglio. Cè stata una signora in prima fila che
dopo ciascuno dei dodici interventi urlava, come una mamma
stanca: «Non litigate più, non litigate».
Applausi e fischi. Ovazioni corali solo contro la destra. E
alindirizzo di quegli oratori che si mostravano
maggiormente inquieti per le prospettive e lavvenire della
democrazia: Sylos Labini, Lidia Ravera. Consensi largamente
maggioritari per lo «sfogo» di Moretti, icona di un
disagio che ora prende i toni dellindignazione. Qualche
sibilo, non equamente suddiviso. Ma soprattutto rivolto a chi ha
alluso, anche velatamente a un qualche rapporto parlamentare con
la maggioranza. Per esempio, Rutelli sè salvato in
corner da una contestazione più dura, quando - dopo aver
detto che si cercherà un confronto con la maggioranza sul
conflitto di interessi - ha precisato che questultima vuol
difendere lo statu quo ante, e perciò nessun rapporto è
possibile: «Sono convinto che la maggioranza degli italiani
è con noi. Non per utilizzare la giustizia contro
qualcuno. Ma per impedire che qualcuno combatta contro la
giustizia». La folla era cresciuta, nel frattempo, a
poco a poco. Niente manifesti. Solo passaparola. Lo striscione
sotto il palco, di stile ulivista, riprendeva un verso-profezia
di De Andrè: «Un giudice giudicò chi aveva
dettato le leggi. Prima cambiarono il giudice. E subito dopo la
legge». Più ruvidi e tradizionali un manifesto con
la scritta: «Previti, meglio che lo eviti» (e in
effetti sera evitato di convocare tutti a piazza Farnese
perché qualcuno si è ricordato in extremis che le
finestre di quel palzzotto rinascimentale sulla destra sono di
Cesare Previti); un altro con: «Pochi Castelli, molti
Borrelli»; e un quarantottesco «Alì baba e i
quaranta ladroni in galera». Bandiere: alcune
dellUlivo, della Margherita, della Sinistra giovanile. Ma
quella di ieri soprattutto doveva essere la serata della «società
civile», del ritorno - appassionato e orgoglioso - allo
«spirito originario» dellUlivo senza etichette.
Tantè che a scaldare subito il clima è stato
uno sconosciuto professore, Francesco Pardi, detto «Panchiò»,
che ha un passato a Potere Operaio, gruppuscolo noto negli anni
Settahnta dellaltro secolo, e oggi è un rispettato
geografo dellUniversità di Firenze, che si vanta di
essere nato il 25 aprile («qualcosa vorrà dire?»)
del 1945. Perché Berlusconi pigliatutto? «Per
linsipienza della nostra parte politica, che ha dei vertici
che hanno sbagliato tutto, lusingando lelettorato altrui, e
disgustando il proprio. I nostri guai sono iniziati con la
Bicamerale...», e dalle reazioni favorevoli si è
cominciato a capire quale pignata ribollente stava sulla
metaforica graticola di Piazza Navona. Dal palco, da quel
momento, la polemica interna si è alternata con
linvettiva, il monito, la riflessione politica. A ondate.
La scrittrice Lidia Ravera, in chiave intima, confidava: «Sono
contenta di vedere piazze così vivaci, come due settimane
addietro è accaduto a Roma con il corteo per gli
immigrati. E sono contenta di essere qui a difesa di un principio
che dieci anni fa sembrava banale, la legge eguale per tutti, e
oggi è una richiesta chiave: o siamo invecchiati o il
mondo è peggiorato». Il fisico Giovanni Bachelet,
figlio del giurista trucidato dalle Br, rinfacciava al resto del
palco: «Opporsi credibilmente alle enormità che
questo governo sta compiendo sulla giustizia è possibile
soltanto se ci chiediamo perché quando eravamo al governo
non abbiamo fatto quel che era scritto nel nostro programma».
La scrittrice Rosetta Loy confessava: «Sono qui
semplicemente perché sono solidale con Borrelli che sta
pagando il suo coraggio, come dimostra la denuncia del ministro
Scajola». E la cantante Gigliola Cinquetti: «La
democrazia non è marketing, o sondaggi. È scelta
culturale e di metodo». Leconomista Paolo Sylos
Labini non fa parte della generazione ex-sessantottina che
dominava il palco, è il più anziano, e sarà
uno dei più battaglieri: «Le tv sono armi micidiali
per la persuasione, dal punto di vista della demnocrazia e dello
stato di diritto. Huxley attribuiva alla radio e ai mezzi di
propaganda un forte contributo allascesa di Hitler. E
Salvemini disse cose analoghe su Mussolini. A me e a Bobbio e
Galante Garrone ci chiamano quelli dellApocalisse, perché
vuole lapocalisse chi è contro Berlusconi...».
Tra gli «esterni», che apparivano ben più
concilianti circa gli «errori» del centrosinistra, il
giornalista Massimo Fini («non sono nè di destra, nè
di sinistra, ma di una cosa che a voi non interessa, però
sto bene al vostro fianco e dico: resistere, resistere,
resistere»). E un amico ritrovato, Tonino Di Pietro, che
invitava a voltar pagina dopo tante divisioni. Poi gli interventi
di Rutelli e Fassino. Il quale con toni pacati ricordava come
«oggi sia in discussione un fondamento dello stato di
diritto»: appunto, la legge rischia di non essere più
urguale per tutti. Perché il governo vuol colpire
lindipendenza e e lautonomia della magistratura: e il
segretario dei Ds cita le vicende del falso in bilancio, delle
rogatorie, e la volontà espressa da Castelli alla Camera
di eliminare lobbligatorietà dellazione
penale, mettendo le iniziative dei giudici sotto il controllo
delle maggioranza parlamentari. Un ministro che, invece, di
preoccuparsi di assicurare un corretto svolgimento del processo
di Milano che vede imputato di corruzione anche un magistrato,
cerca di impedirne la celebrazione». Intanto, tra la
folla Nanni Moretti rilasciava dichiarazioni di fuoco ai cronisti
delle agenzie di stampa: «Gli elettori di sinistra non
meritano lo spettacolo penoso dei loro vertici». Faceva
sapere, quindi, di voler intervenire. Ecco lannuncio di
Nando Dalla Chiesa: «Parla anche Nanni Moretti». Ed
ecco limprevista intemerata, letteralmente urlata al
microfono, con laiuto di tre bicchieri dacqua, contro
i leader del centrosinistra. Una «comparsata» di non
più di settanta secondi, il più efficace
«cortometraggio» di Moretti. Molti applausi in
platea, e solo qualche isolata battuta sulle tendenze
masochistiche di quel «Tafazzi» che nelle
trasmissioni della «Gialappas band» si
percuoteva con un bastone. La critica urticante di Moretti non
parlava solo al cuore: si è perduto contro Berlusconi,
affermava il regista, per due ragioni: «troppa timidezza»
e incapacità di «rapporti politici» unitari
con Bertinotti e Di Pietro. Detto da uno che confessa «di
non sapere parlare con Rifondazione, ma quello dovrebbe essere il
vostro mestiere...», sembrava la sintesi, tagliata con
laccetta, degli umori prevalenti. E così Di Pietro
in un clima di bolgia riprendeva il microfono, non si capisce se
per «cavalcare» o contestare il regista: «Basta
spararsi nelle p...». Gli altri replicavano quando la
piazza stava per svuotarsi. Dalla Chiesa: «È stata
una utilissima frustata. Che i problemi ci fossero con la nostra
gente, lo sapevamo. Del resto vi dice niente che questa
manifestazione sia stata autoconvocata?». Rutelli: «Moretti
è un grande intellettuale che ha espresso legittime
critiche politiche. Dopo di che non è detto che un
intellettuale capisca anche di politica, anche se è giusto
che la cultura critichi, se crede». Fassino: «Non è
con la disperazione che lopposizione diventa più
credibile. Né con la denigrazione dei suoi dirigenti si
aiuta lUlivo a uscire dalle sue difficoltà. Servono
idee passione volontà di combattere. E non sono davvero
inutili anche solidarietà e rispetto».
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Il
giorno dopo le conclusioni di Nanni Moretti dal palco
di piazza Navona, a Roma, cè sconcerto e un po
di imbarazzo tra i dirigenti dellUlivo. Il regista di
Palombella rossa aveva accusato i dirigenti ulivisti di
portare lo schieramento alla sconfitta. «Anche questa
serata è stata inutile. Il problema del centrosinistra è
che per vincere bisogna saltare due-tre-quattro generazioni»
ha detto Moretti, aggiungendo: «Con questi dirigenti non
vinceremo mai». Dopo le prime reazioni a caldo, solo
Rutelli domenica mattina è ritornato sulla questione.
«Tutte le critiche vanno ascoltate, va bene anche l'urlo di
un artista, io però a polemiche distruttive non ci sto -
ha detto il leader dell'Ulivo - perché le polemiche
distruttive non costruiscono nulla. Non amo coloro che vogliono
alla fine farci soltanto del male. Tutti si devono sforzare di
dare un contributo positivo per fare il bene del
centrosinistra». Sabato sera, il segretario dei Ds,
Piero Fassino, aveva commentato che «non è con la
disperazione che l'opposizione diventa più credibile. Né
con la denigrazione dei suoi dirigenti si aiuta l'Ulivo a uscire
dalle difficoltà. Servono idee, passione, volontà
di combattere. E non sono davvero inutili anche solidarietà
e rispetto». Ma non tutti tra i diessini sono daccordo
con Fassino. «Moretti ha detto delle verità. Ha
dimostrato di essere in sintonia con la piazza. Ha colto la
domanda di combattività e unità che viene dai
nostri elettori: basta al club del porgi l'altra guancia»
dice Giovanna Melandri, ex ministro della Cultura, in
unintervista al Corriere della sera. Sono
affermazioni «pesanti e anche un po ingenerose»,
dice la Melandri, ma in fondo in linea con il pensiero degli
elettori. «Brucia nel nostro elettorato la sconfitta del 13
maggio, brucia il mancato accordo con Rifondazione e Di Pietro,
c'è una gran voglia di chiarezza, di evitare accordi con
la destra, pasticci». Le dichiarazioni di Moretti, conclude
l'ex ministro, servono dunque a capire che «bisogna
reagire, fare un fronte comune contro la politica classista e per
la difesa dello stato sociale e di diritto»
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