Morgan Freeman è uno
degli attori più completi dei nostri giorni: nato nel
1937, nero, più volte premiato con lOscar, lultimo
per la sua magistrale interpretazione del gestore della palestra
in Million Dollar Baby di Clint Eastwood, nei giorni
scorsi era al 29° Festival internazionale del film del Cairo.
Lì lo abbiamo incontrato.
Che
cosa pensa di Clint Eastwood sia come attore, sia come regista?
Ho
lavorato con lui in due film, Gli spietati del 92 e
Million Dollar Baby, perciò posso dire di
conoscerlo professionalmente piuttosto bene. Come attore è
davvero bravo, ma come regista è addirittura eccezionale.
Il suo modo di dirigere, apparentemente semplice, produce opere
elaborate, complesse, straordinarie.
Quale
attrice, fra quelle ora sulla scena, la interessa
particolarmente?
Sono
due le grandi star femminili del cinema americano di oggi:
Jessica Lange, che per me è la migliore in assoluto, e
Ashley Judd. Ci sono molte altre attrici brave come Sharon Stone
e Renée Zellweger, ma le prime due hanno veramente una
marcia in più.
Lei
ha diretto un solo film, Bopha! (1993) contro
il regime segregazionista sudafricano, ma ne ha interpretati
quasi settanta. Non ha voglia di cimentarsi nuovamente nella
regia?
Sono
troppo pigro per fare il regista. Pensare, organizzare, dirigere
e montare un film richiede almeno un anno di lavoro. Io in questo
tempo interpreto tre o quattro film di altri registi e guadagno
di più.
Lei
ha visto e come giudica i film dell'area islamica?
Lo
scorso anno sono stato invitato dal festival di Dubai, dove sto
per ritornare. Lì ho visto due film che mi hanno
impressionato in modo particolare. Uno s'intitola Control Room
(2004) di Jehane Noujaim, è un documentario su come i
mezzi d'informazione occidentali e arabi hanno affrontato la
guerra in Iraq. Illustra, in particolare, il lavoro e il punto di
vista della televisione Al Jazeera che arriva ad accusare gli
Stati Uniti di aver ucciso intenzionalmente un loro
corrispondente, vittima di un colpo di cannone sparato contro la
sua camera d'albergo da un carro armato americano. L'altro è
Osama (2003) di Siddiq Barman e racconta il dramma di una
ragazza afgana costretta, durante il regime talebano, a fingersi
maschio per poter andare a lavorare (il film è uscito
anche in Italia n.d.r.). Per quanto riguarda un discorso
più generale, il sistema distributivo americano non
consente la diffusione, su larga scala, di film stranieri, in
particolare di quelli dei paesi più poveri ed esotici. Per
questo non ho visto un numero sufficiente di film arabi per
potermi fare un'idea di questo cinema.
A
proposito di film politicamente impegnati, cosa pensa di
Fahrenheit 9/11 di Michael Moore?
Mi
piace molto e lo considero particolarmente importante per gli
Stati Uniti.
Lei
ha iniziato come ballerino ed attore teatrale: il palcoscenico
non le manca?
Ho
fatto teatro, di vario tipo, per ben vent'anni. Oggi che mi sono
saldamente insediato nel cinema, non ho la minima voglia di
schiodarmi da questa poltrona per fare altro. Come dite voi
italiani: grazie, ho già dato!
Nel
suo lavoro ha mai sentito il peso del razzismo?
Sono
nato a Memphis, nel Tennessee, da una famiglia americana da
almeno quattro generazioni. Non mi sento un afroamericano, ma un
americano punto e basta. Per quanto riguarda il razzismo, io
penso che te lo facciano sentire se sei povero, disoccupato,
emarginato. Se lavori, hai successo e soldi, nessuno guarda al
colore della tua pelle.
Intervista di Umberto Rossi
L'UNITA' -19/12/2005
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