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Rugantino non c'è più. Se n'è andato Nino Manfredi |
Rugantino non c'è più. Se n'è andato Nino Manfredi |
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È finita. Ora che anche Nino Manfredi se nè andato, a 82 anni (era nato a Castro dei Volsci, in Ciociaria, il 22 marzo 1921), lepoca doro della commedia allitaliana è davvero finita. I grandi attori di quellirripetibile stagione ci hanno lasciati: per primo Tognazzi, ancora troppo giovane, poi in rapida successione Mastroianni, Gassman e Sordi, e oggi Nino Manfredi, ultimo superstite di quel pokerissimo dassi che ha allietato le nostre vite di spettatori e di esseri umani. Curiosamente, sopravvivono i registi: Comencini, Risi, Monicelli e lassai più giovane Ettore Scola. Ma gli interpreti di un genere che ha accompagnato, e interpretato, la nostra storia se ne sono andati per sempre. Rimarranno, indistruttibili, i film. Ma siamo certi che Nino, se ci sta ascoltando da qualche parte (in compagnia di Ugo, Marcello, Vittorio e Alberto), non vorrebbe sentirci parlare di cinema. Se esagerassimo in cinefilìa, magari rivalutando filmetti girati in fretta e furia per motivi alimentari, riciclerebbe una delle sue battute più fulminanti, quel mantra in swahili-ciociaro (Aritanga romba cojota, serve traduzione?) che introduceva il suo personaggio nel finale di Riusciranno i nostri eroi. Comunisti! Chissà se Nino si consolò davvero, a quelle parole: sta di fatto che i suoi inizi nel cinema furono laboriosi, e scorrere la sua filmografia nei primi anni 50 è, a posteriori, sconcertante. Manfredi lavora in decine di film, quasi tutti dimenticati. Qualche titolo? Monastero di Santa Chiara, La prigioniera della torre di fuoco, La domenica della buona gente, Canzoni canzoni canzoni, Susanna tutta panna, Pezzo capopezzo e capitano, Guardia ladro e cameriera, una particina in Totò Peppino e la malafemmina: tutta roba che va dal 49 al 58, un periodo in cui Manfredi non è quasi mai protagonista e in cui le uniche imprese di spicco sembrano essere Lo scapolo di Pietrangeli (1955), in cui per altro il protagonista è Sordi, e il doppiaggio di Franco Fabrizi (ascoltate bene, la voce è sua) nei Vitelloni di Fellini, altro film in cui è il collega e futuro amico-rivale Sordi a ritagliarsi un ruolo ben più importante. Finalmente
protagonista Da poco lo avevamo rivisto in tv nel ruolo di anziano omosessuale a fianco di Lino Banfi nel film televisivo Un difetto di famiglia. Magro, elegante, vestito di bianco, con un cagnolino in braccio, disegnava il ritratto di quella che rischiava di essere una macchietta con una assoluta naturalezza di gesti, priva di tic e mossette . Lui e Banfi, che nella finzione erano fratelli rivali, si sfidavano in un gioco d'attori che li avvicinava sempre più, fino a diventare quasi un'unica persona con due scenari di vita opposti. Manfredi, però, alla fine ne usciva vincitore, sia per essere riuscito a farsi amare dal fratello, sia, soprattutto, per essere riuscito a farsi preferire dal pubblico. Tanto da far desiderare a qualunque spettatore di avere un fratello così diverso e uguale a lui. Del resto, da tempo ormai eravamo abituati a considerare Manfredi, per le sue partecipazioni televisive, come un consanguineo, uno zio o un nonno. Con i suoi bellissimi maglioni di Missoni, con l'aria furba e bonaria di chi ha voglia di raccontarsi, prima che gli altri raccontino lui. Lo rivediamo seduto in poltrona nei talk show, nelle occasioni in cui aveva ricordato colleghi scomparsi o aveva partecipato in compagnia della sua intera famiglia. Aveva cominciato a mettere i puntini sulle i. Parlava della morte con apparente tranquillità, come se fosse anche più vecchio di quel che era. Si compiaceva ancora, ogni tanto, di qualche citazione dal personaggio che aveva fatto di lui, consumato attore di teatro e di cinema, regista raffinato, una popolarissima maschera televisiva. Con quel 'fusse che fusse la vorta bbona' che risaliva alla Canzonissima del 59-60, edizione di grande successo affidata al trio Panelli-Scala-Manfredi, più che attraverso i tanti film interpretati, Manfredi era diventato un volto della commedia all'italiana: il burino, il cafone, il contadino dal cervello fino e dalla parlata irresistibile. Quel ruolo è rimasto per sempre la sua identità televisiva anche quando, da anziano, giocava coi suoi ricordi, circondato dai nipotini veri e sotto gli occhi di quei milioni di nipotini che siamo stati tutti noi. Fin dagli anni 70, in tante apparizioni televisive, aveva ricalcato quel personaggio stralunato e insieme iperrealistico, roteando gli occhi e le parole con soddisfazione, come se gustasse il sapore della appartenenza a una memoria comune. Come quando recitò il grande ruolo di Geppetto nel Pinocchio di Comencini, cammeo recitato un anno dopo (1972) il suo grande debutto alla regia cinematografica con Per grazia ricevuta. Ma, per ritrovarlo in televisione in ruoli d'attore e non di ospite narrante, bisogna arrivare agli anni 90, che videro Manfredi protagonista di lunghe serie gialle come poliziotto (in Un commissario a Roma), e poliziotto pensionato (Linda e il brigadiere), ma sempre padre di famiglia. Non a caso a dirigerlo era spesso il figlio Luca, cosicché i personaggi, anzi il personaggio di Manfredi, risultava sempre improntato al calore della familiarità e alla testardaggine dell'età. Ed era talmente se stesso che nella prima puntata di Linda e il brigadiere si faceva un pessimo caffè, per prendere in giro quell'altro se stesso che aveva per anni fatto pubblicità a una famosa marca, concludendo tutti gli spot con il tormentone: Il caffè è un piacere, se non è buono, che piacere è?. Perché Manfredi, in tv, sia che facesse pubblicità, sia che fosse intrattenitore e ospite, sia che interpretasse ruoli diversi, era ormai talmente Manfredi e talmente bravo, che un po' oscurava e un po' trascinava gli altri interpreti. Faceva scuola ed era arrivato al punto, come i grandi, come i più grandi tra gli attori, che non aveva più bisogno di recitare, ma gli bastava semplicemente essere. Alberto Crespi L'UNITA' 05/06/2004 torna su |
Da poco lo avevamo rivisto in tv nel ruolo di anziano omosessuale a fianco di Lino Banfi nel film televisivo Un difetto di famiglia. Magro, elegante, vestito di bianco, con un cagnolino in braccio, disegnava il ritratto di quella che rischiava di essere una macchietta con una assoluta naturalezza di gesti, priva di tic e mossette . Lui e Banfi, che nella finzione erano fratelli rivali, si sfidavano in un gioco d'attori che li avvicinava sempre più, fino a diventare quasi un'unica persona con due scenari di vita opposti. Manfredi, però, alla fine ne usciva vincitore, sia per essere riuscito a farsi amare dal fratello, sia, soprattutto, per essere riuscito a farsi preferire dal pubblico. Tanto da far desiderare a qualunque spettatore di avere un fratello così «diverso» e uguale a lui.
Del resto, da tempo ormai eravamo abituati a considerare Manfredi, per le sue partecipazioni televisive, come un consanguineo, uno zio o un nonno. Con i suoi bellissimi maglioni di Missoni, con l'aria furba e bonaria di chi ha voglia di raccontarsi, prima che gli altri raccontino lui. Lo rivediamo seduto in poltrona nei talk show, nelle occasioni in cui aveva ricordato colleghi scomparsi o aveva partecipato in compagnia della sua intera famiglia. Aveva cominciato a mettere i puntini sulle i. Parlava della morte con apparente tranquillità, come se fosse anche più vecchio di quel che era. Si compiaceva ancora, ogni tanto, di qualche citazione dal personaggio che aveva fatto di lui, consumato attore di teatro e di cinema, regista raffinato, una popolarissima maschera televisiva. Con quel 'fusse che fusse la vorta bbona' che risaliva alla Canzonissima del 59-60, edizione di grande successo affidata al trio Panelli-Scala-Manfredi, più che attraverso i tanti film interpretati, Manfredi era diventato un volto della commedia all'italiana: il burino, il cafone, il contadino dal cervello fino e dalla parlata irresistibile. Quel ruolo è rimasto per sempre la sua identità televisiva anche quando, da anziano, giocava coi suoi ricordi, circondato dai nipotini veri e sotto gli occhi di quei milioni di nipotini che siamo stati tutti noi. Fin dagli anni 70, in tante apparizioni televisive, aveva ricalcato quel personaggio stralunato e insieme iperrealistico, roteando gli occhi e le parole con soddisfazione, come se gustasse il sapore della appartenenza a una memoria comune. Come quando recitò il grande ruolo di Geppetto nel Pinocchio di Comencini, cammeo recitato un anno dopo (1972) il suo grande debutto alla regia cinematografica con Per grazia ricevuta. Ma, per ritrovarlo in televisione in ruoli d'attore e non di ospite narrante, bisogna arrivare agli anni 90, che videro Manfredi protagonista di lunghe serie gialle come poliziotto (in Un commissario a Roma), e poliziotto pensionato (Linda e il brigadiere), ma sempre padre di famiglia. Non a caso a dirigerlo era spesso il figlio Luca, cosicché i personaggi, anzi il personaggio di Manfredi, risultava sempre improntato al calore della familiarità e alla testardaggine dell'età. Ed era talmente se stesso che nella prima puntata di Linda e il brigadiere si faceva un pessimo caffè, per prendere in giro quell'altro se stesso che aveva per anni fatto pubblicità a una famosa marca, concludendo tutti gli spot con il tormentone: Il caffè è un piacere, se non è buono, che piacere è?. Perché Manfredi, in tv, sia che facesse pubblicità, sia che fosse intrattenitore e ospite, sia che interpretasse ruoli diversi, era ormai talmente Manfredi e talmente bravo, che un po' oscurava e un po' trascinava gli altri interpreti. Faceva scuola ed era arrivato al punto, come i grandi, come i più grandi tra gli attori, che non aveva più bisogno di recitare, ma gli bastava semplicemente essere. Maria Novella Oppo L'UNITA' 05/06/2004 torna su |
Nino è il ricordo di tutta una vita. È dalla fine degli anni Cinquanta che ci conosciamo. Quando scrivevo le sceneggiature per i Caroselli e per lui scrissi quello della penna Bic. Poi arrivò Rugantino: lho immaginato sulla sua maschera e sulla sua personalità. Forse senza di lui questa commedia musicale divenuta famosa in tutto il mondo non sarebbe mai venuta fuori. È allora che è nata lamicizia tra noi, profonda vera, durata sempre. Cresciuta anche attraverso i film fatti insieme: dal mio primo, Nellanno del Signore, allultimo La notte di Pasquino realizzato per la tv. Passando per In nome del popolo sovrano, In nome del papa re, La carbonara e Secondo Ponzio Pilato. Tanti ruoli, tanti personaggi, il ciabattino Cornacchia, il monsignore Colombo e ancora Ciceruacchio e ancora un prelato e persino Ponzio Pilato. A Gigi - mi diceva - co te me manca solo che me fai fà er papa. Si vede che non se lo ricordava perché aveva fatto pure quello per Signore e Signori buonanotte, un film ad episodi che realizzammo con una cooperativa insieme a Scola, Comencini, Pirro, Monicelli, Loy, Age e Scarpelli e altri. Nino era come un fratello. E non riesco a farmi venire in mente aneddoti di quelli che si usano in queste circostanze. Quelli che poi col tempo cambiano addirittura titolare e finiscono al centro di vertenze sulle attribuzioni. Di Nino ricordo la coerenza, la serietà, la generosità, la capacità di non prendersi sul serio. Tutte quelle doti che appartenevano ad un mondo che non cè più, che è andato via via scomparendo. Il mondo del dopoguerra, di coloro come noi che hanno visto tutto: il fascismo, la resistenza, Salò, la Liberazione. Che abbiamo creduto in cose vere, che abbiamo avuto degli ideali da difendere e che non avremmo mai immaginato quello che sarebbe successo oggi. Ideali sì, quelli per i quali speravamo di poter cambiare il mondo. Magari anche con il cinema, perché no. Come ho tentato di fare anchio coi miei film raccontando la storia, cercando di tener viva la memoria e non di fare finta di ricordare come si fa oggi con le celebrazioni le più inutili. Ecco, Nino apparteneva a questo mondo ed ora con la sua morte mi sento veramente solo. Luigi Magni L'UNITA' 05/06/2004 torna su |
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