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Oi VA Voi, il kletzmer si fa sexi |
Com'è svegliarsi nella Londra di oggi, trentenni, e scoprirsi perdutamente innamorati delle proprie radici yiddish? E' segno che in una società mescolata come quella britannica è necessario come mai aggrapparsi alla propria storia, anche quando si è passata l'adolescenza ubriachi di simboli della modernità anglosassone, tra il trip hop e l'elettronica d'avanguardia. Gli Oi Va Voi sono la punta dell'iceberg di una moda che da un paio d'anni spopola al di là della Manica. Non c'è da scomodare il ritardo con cui arrivano rispetto alla rinascita del kletzmer che scosse New York alla fine degli anni Settanta, perché qui si tratta di una rielaborazione completamente diversa. Gli Oi Va Voi sono figli dei Massive Attack e di Goran Bregoviz, delle ninna nanne ungheresi e dei violini kletzmer. Sono sei ragazzi londinesi ognuno con il suo personale percorso musicale: Sophie Solomon, la bella e statuaria front-woman, è stata per anni dj di musica jungle ma nello stesso tempo suona il violino fin da quando era bambina (Sono sempre stata una violinista ribelle, le altre ragazze non attaccavano i pedali allo strumento tirandone fuori effetti strani, ci racconta), il trombettista ha alle spalle una carriera dj hip hop, gli altri suonavano rock. Uniti dall'amicizia, a un certo punto si sono resi conto di fare musica completamente diversa da chiunque altro: basso, batteria ed elettronica sensuale che disegnano storie di rifugiati, zingari, musicisti, amore e libertà. Sophie, il vostro disco d'esordio Laughters through tears è uscito per un'illuminata etichetta indipendente votata agli scambi culturali (Outcaste, la stessa dell'anglo-indiano Nitin Sawhney), ma avete cominiciato a farvi conoscere in giro grazie ad un'organizzazione nata per promuovere l'arte ebraica... Sì. Mentre a New York la scena musicale di origine ebraica è radicata e ha i suoi circuiti, qui a Londra quando abbiamo cominciato a sperimentare con il kletzmer nel '99 eravamo gli unici. L'esplosione da noi è cominciata solo da un paio di anni. Poi è arrivata la YaD Arts, una bella agenzia che organizza serate, eventi e tour di arte contemporanea ebraica ma anche di musica gipsy e nordafricana. Loro ci hanno dato la possibilità di suonare all'estero: Mosca, Los Angeles... Quanto sentite l'appartenenza alla tradizione ebraica? E' diverso per ognuno nella band. Uno di noi va in sinagoga ogni settimana fin da quando era bambino, un altro ha scoperto solo l'anno scorso che suo zio era ebreo. Per quanto mi riguarda mio padre è ebreo e mia madre russa, ma non sono mai andata da bambina in sinagoga. La cosa bella è che la mia identità la sto scoprendo e rivalutando man mano assieme alla band e alla sua musica. E per tutti noi il kletzmer diventa un imprescindibile punto di partenza. In Inghilterra sentite il peso di un rinnovato antisemitismo? No, non mi sembra proprio. Anzi, siamo orgogliosi di come l'Inghilterra ha accolto i nostri nonni che scappavano dall' Olocausto. Ora noi, nipoti di quella generazione di rifugiati, viviamo una vita molto confortevole qui in Inghilterra ma non dimentichiamo, in fin dei conti stiamo parlando di qualcosa accaduto solo due generazioni fa. Siamo totalmente consapevoli della situazione razzista in Inghilterra, come nel resto d'Europa. La definizione di kletzmer vi va stretta? Un po'. E in fin dei conti la scena musicale a cui sentiamo di appartenere è più quella identificabile con i Massive Attack. Il recupero delle radici è fondamentale, ma altrettanto fondamentale per noi è il trovare una formula musicale assolutamente contemporanea. Che dia un senso a quello che facciamo. Per questo adoro letteralmente uno come John Zorn. Io personalmente ho trascorso molto tempo a New York per studiare violino e musica. E ho avuto modo di entrare ancora più a fondo nella tradizione ebraica suonando ad esempio con il clarinettista kletzmer David Krakauer. Nella nostra musica non c'è artificio, non facciamo come altre band che si limitano a campionare un suono per dare l'illusione di un'apertura etnica. Per noi al primo posto c'è il rispetto per i nostri ascoltatori, e quando usiamo un ritmo non nostro, di una qualsiasi tradizione folk, lo facciamo con onestà, con un'attitudine pulita da band acustica. I vostri dischi si trovano negli scaffali world. Anche questo vi va stretto? Tutta la musica è world music. Chi decide che una cosa è world o no? Suppongo che il motivo per cui molti ci catalogano come artisti world risieda nel fatto che non abbiamo problemi nel dire quali sono le nostre influenze. Diciamo chiaramente: si è vero, siamo influenzati dalla musica ungherese, gipsy, dai Balcani, dal kletzmer. E poi magari ai nostri ascoltatori viene anche voglia di andare a scoprire quella musica tradizionale che evochiamo... Intervista di Silvia Boschero L'UNITA' 17/02/2004 |
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