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Giovanni
Rebora |
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La tavola dei liguri, la ricchezza vien dalle verdure |
La cucina è un prodotto della civiltà urbana, una necessità di chi può scegliere e vuole ostentare una mensa diversificata e ricca, di chi può permettersi una brigata di cucina guidata da un cuoco. Le risorse a Genova apparivano scarse, ma la popolazione rimase quasi stazionaria intorno ai 250-300 mila abitanti fino a raggiungere il numero di 400 mila alla fine del Settecento e questo, insieme con la ricchezza accumulata dall'economia mercantile faceva della Liguria una regione senza fame. Non fu una cosa da niente visto che durò circa ottocento anni. Se le risorse erano scarse, soprattutto se non c'era spazio sufficiente per la cerealicoltura, il mondo mercantile era attento e seppe trasformare in fonte di ricchezza ciò che uno stuolo di disattenti avrebbe chiamato una terra povera: poveri sono gli uomini, non i paesi: Genova e la Liguria, Lucca e Venezia, l'Olanda e il Giappone ne sono la prova. Alla fine del 1100 Genova stipulò una convenzione con Porto Maurizio visto che che in quel territorio si producevano agrumi, una merce in cambio della quale si sarebbe ottenuto molto grano. Fu favorita l'espansione della vite pregiata: la vernaccia di Corniglia divenne il cru più prestigioso del Medioevo e fu seguita dal moscatello di Taggia esportato in Fiandria ed in Inghilterra almeno dal XVI secolo in poi. La ricchezza della città più ricca del mondo ebbe un effetto rilevante sulla cucina e sulla produzione dei beni ad essa destinati, soprattutto la verdura, che troppi incompetenti considerano roba da poveri. Fatto sta che la cucina ligure ha mantenuto alcune pietanze speciali che risalgono almeno al XVI secolo (forse prima, ma non ho, al momento, i documenti), come la cima, che qualcuno ha voluto pensare come un risparmio di carne mentre si tratta dell'unico pasticcio di uova, filoni, cervella, pinoli e verdure pregiate che sia avvolto in una guaina di carne: unico al mondo, perché a Genova la carne era il prodotto meno costoso in assoluto e perché il ripieno è costituito da ingredienti molto costosi, molto più carne. La cucina ligure risente delle risorse locali come tutte le altre cucine, è meglio dotata di verdure in periferia e nel mondo agricolo ed orticoltore fuori o lontano da Genova, è sontuosa e ricca di carni e pesci in città, ove il mercato sostiene l'offerta di prodotti costosi come il pesce. Già, il pesce era ed è costoso perché non programmabile, la stagione condizionala pesca e i capricci del tempo possono impedirla, anche per molti giorni. Così la cucina genovese presenta tra le cose più importanti il pesce morone (Centrolophus niger) raro e costosissimo, ma eccellente anche e soprattutto per la cucina contemporanea, difficile da preparare, ma consueto per i cuochi dei grandi banchieri genovesi dei secoli passati. Presenta le preparazioni in olio d'oliva che un'invenzione dei gestori genovesi delle tonnare delle isole Egadi, di Sardegna e di Camogli, ma anche i funghi sott'olio e quelli secchi che nel Cinquecento erano chiamati funghi genovesi (gli uni e gli altri). Sulla tavola dei ricchi apparivano i tartufi (terre tufe) ed i funghi erano raccolti anche nei boschi che facevano corona alla città. La carne, come ho scritto, era il prodotto meno costoso e alla portata dei lavoratori più umili, ma non c'erano protesi e masticarla era un problema insolubile: i ravioli e le torte di pane e carne permettevano a tutti di nutrirsi di proteine. Lungo le strade mulattiere che portavano verso i paesi dell'interno fiorivano decine di trattorie dove si potevano trovare un piatto di ravioli e il fieno per il mulo, insieme con una misura di vino non buono. Nel XVII secolo troviamo il biscotto condito, forse in uso da tempo, e che nell'Ottocento venne chiamato cappon magro, a questo piatto sontuoso e ricchissimo fanno corona le varie capponadde in uso nei siti delle tonnare, dove i pesci bianchi sono sostituiti dal tonno salato, compreso il cuore salato del tonno ed il mosciamme di tonno. Le torte di pasta e carne pestate (paté) non sono più in voga salvo nella forma dei ravioli, ma son sopravvissute le torte ripiene di erbe (borragini, bietole,ecc) che hanno nella torta pasqualina l'espressione più sontuosa, ma che soprattutto in campagna dove la verdura era meno costosa costituiscono ancora un uso alimentare diffuso e delizioso, come i polpettoni, anch'essi di verdura, tutte cose cotte nel forno del panettiere o del tortaio che preparavano anche la focaccia genovese destinata alla prima colazione e la farina di ceci cantata in versi dialettali già nel Settecento. L'assenza di frigoriferi rendeva difficile la cucina del pesce, ma i pesci venivano cotti e messi sott'aceto: in scabeccio come si diceva in tutto il Mediterraneo prima che venisse in uso la parola carpione inventata per i pesci di acqua dolce. Con l'arrivo di Napoleone e poi della casa Savoia, le rapine, le frequentissime guerre, le distruzioni di ricchezza, indussero tanta gente ad emigrare verso le Americhe e verso altri paesi ed apparve, per la prima volta a Genova durante l'assedio di Massena, la fame vera e la scarsità di prodotti, inusitata soprattutto a Genova. Lo stoccafisso entrò nell'alimentazione dei liguri probabilmente attraverso le mense collettive degli istituti di carità e dei paesi di montagna, prima che si diffondessero le patate (fine Settecento) veniva preparato con nocciole tritate (Badalucco) o con fave secche. Una curiosità: le fave venivano acquistate in Maremma dove i camoglini (così erano chiamati tra Bolgheri e Cecina) andavano con i loro grossi leudi. Poi vennero le patate e vennero i pomidoro e venne il pesto per condire la pasta che era già un piatto diffuso e che, con la prima industrializzazione divenne uno dei modi più rapidi e meno costosi per nutrirsi, ma siamo alla fine dell'Ottocento ed all'inizio del Novecento: in Liguria non si erano mai visti tempi peggiori. Quando le cose sembrava andassero meglio, oltre alla pasta di semola (quella secca) si facevano i ravioli e i tagliolini, magari quelli verdi fatti con farina, borragini e formaggi e conditi con tocco di funghi, piatti da festa seguiti dal bollito (d'inverno) o da altri cibi come l'agnello, o i ripieni come zucchine cipolle e quand'è stagione melanzane. Le melanzane ripiene venivano vendute da signore ambulanti già nel Seicento. Le ostriche, ora poco consuete nel nostro mercato erano coltivate, nel Seicento, alla radice della Lanterna, i gamberi rossi e gli scampi, invece, vennero pescati nel mar ligure solo nel 1929. I vini: della qualità non parlo perché solo da pochi anni i nostri vini sono competitivi per qualità nei confronti di altri, soprattutto bianchi, ma ce ne sono di eccellenti. Non si può dimenticare, come dessert, la produzione di canditi e la confetteria, arte che risale al medioevo e che ebbe ed ha ancora in Genova una produzione di altissima qualità, basti ricordare il negozio dei Romanengo che sta in Soziglia dal 1792. Giovanni Rebora G8/IL SECOLO XIX 22/07/2001 |
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