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Giovanni Rebora
IL SECOLO XIX – 12 aprile 2002

Il bianchetticidio e l'arte di gonfiare i branzini

Il crimine di bianchetticidio è terribile, una sorta di decreto di erode contro i bambini delle sardine.

La nostra regione, insieme con una parte della costa francese e con la punta della Corsica, è il paradiso dei cetacei, ce ne sono migliaia e siccome mi divertono, sono andato a vederli a poco più di un miglio dalla costa: allegri, sorridenti, casinisti, e tutti con la pancia piena di bianchetti, pasette, acciughe, laxerti, soelotti, ecc. Un delfino di novanta chili ne ingoia trenta chili al giorno, in media, un terzo del suo peso, se si imbatte nei bianchetti mangia bianchetti e lo fa finché ne trova, non demorde lui: è protetto.

Se io sottraggo mezzo chilo di bianchetti ai cetacei, sono un criminale. Gli xifii pesano tre volte tanto e anch'essi partecipano al banchetto, le balene mangiano Krill, ma non sputano vivi gli eventuali bianchetti incappati nelle loro fauci. Una balena può pesare trenta o quaranta quintali, un terzo del suo peso corrisponde ad una quantità enorme di pesciolini.

Massimo Righi, sul Decimonono, ci ha raccontato molto bene delle commissione europea che ha beccato un criminale con 25 ricci più del consentito (anch'io mi chiedo cosa ne facesse, ma è solo una curiosità), i commissari hanno preso appunti intorno alla pesca dei bianchetti e sono stati severissimi. Mi pare che non abbiano “elevato verbale” ai delfini, agli xifii, alle stenelle e che abbiano lasciato in pace le balene, i cetacei, si sa, non possono firmare i verbali: le loro pinne non consentono l'uso della penna biro.

Dal canto suo, il WWF ha denunciato la preoccupante diminuzione di pescosità dei nostri mari, con conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro. I pescherecci salpano reti che vengono a bordo piene di rumenta, quella prodotta dagli adorati turisti che, coadiuvati dalle industrie, pavimentano i nostri fondali di rifiuti. Tutto questo dovrebbe convincerci che è necessario ricorrere sempre più all'allevamento del pesce.

E' così che in Olanda, allo scopo di rispettare i bianchetti ricorrendo all'allevamento, hanno trovato il modo di gonfiare i branzini. Dato che la popolazione ligure è invecchiata, sono sicuro che siano tanti, fra i lettori, coloro che ricordano la fettina gonfiata, quella che, una volta in padella, si riduceva e diventava una sorta di calletto dal sapore di cartone unto: così trattata prendeva il nome di “scaloppina”. Nonostante il prezzo più alto, a quei tempi il pesce spada rendeva di più. Ora è la volta del branzino.

Costa di più, rende di meno, ci vuole tempo per farlo crescere, ma se si tratta con una proteina che si chiama Tari, cresce più in fretta. Già, ma una volta sottoposto a cottura se ne va in acqua.

Non è solo un danno per i consumatori, è anche concorrenza sleale e frode alimentare, denunciata alla Commissione europea da una europarlamentare tedesca. E anche e soprattutto una carognata che i consumatori devono conoscere, perché gli allevatori onesti ci sono e offrono un ottimo prodotto, perfino assoggettato a dimagrimento. Devono sapere che non esiste prodotto di qualità a prezzi bassi rispetto alla media, devono sapere quanto “deve” costare un litro di olio extravergine, un litro di vino buono e un chilo di pesce di allevamento, al di sotto di certi prezzi si tratterà di olio lampante ripulito, di vino adulterato e di pesce gonfiato. Visto che il consumatore razionale non esiste in natura e che è solo un oggetto per economisti, vogliamo tentare almeno di essere ragionevoli? Visto che abbiamo più ore di tv che di lavoro e di scuola, vogliamo provare a chiedere un po' meno scemenze e un poco di più di informazione? Vogliamo riprenderci dallo stress (finto) con cui giustifichiamo la nostra pigrizia mentale e occuparci con maggiore impegno dei nostri interessi? Tranquilli, non incorreremmo in problemi di “conflitto”.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 12 aprile 2002


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