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Giovanni Rebora
IL SECOLO XIX – 02 giugno 2002

Se l'aragosta è peccato lasciateci peccare in pace

Un astice morto comincia subito a disidratarsi e la testa diventa putrescente in pochissimo tempo, si ottiene così un astice vuoto e fetido. I signori Savonarola dei nostri giorni dovrebbero informarsi meglio, oppure sono talebani? Chissà mai, visto che sostengono . E la Protezione animali lo ha scritto in una denuncia penale contro un supermercato di Savona – che a questi sfortunati esseri viene prolungata l'agonia e causa di “feroci principi culinari (che) suggeriscono di tenerli in vita fino al momento di finire in pentola o in padella perfettamente coscienti”.

Non solo nutro dubbi sul “perfettamente coscienti”, ma ho da ridire sui feroci principi culinari.

Già, la gola è un peccato, alcuni peccati di gola erano leciti a principi e abati, ma non a gente di bassa condizione che doveva accontentarsi di cibi appropriati. La letteratura in questo senso è tanta, e sono tanti i nemici della cucina e del piacere della cucina, se cerchi il piacere sei un peccatore, nel caso in questione sei anche feroce.

Spero che il giudice che dovrà giudicare questa infamia sia un uomo goloso o almeno dotato di buonsenso e di curiosità. L'Ente per la protezione degli animali fa il suo lavoro, ma costituirsi “parte civile” mi sembra discutibile. E spero anche che il ministro Alamanno che ha nuotato tra i tonni, la prossima volta faccia una novena per gli stessi, lo sa che per diventare sushi giapponese i tonni vengono squartati? Quelli delle scatolette invece?

L'astice ora è un prodotto dell'acquacoltura, viene allevato e venduto a prezzi ancora sostenuti, ma raggiungibili: anche dalla gente di bassa condizione, magari ogni tanto anche la gente normale può ordinare spaghetti con l'astice o l'astice stesso in un ristorante non necessariamente di gran lusso. Cosa accadrebbe se dal piatto servito al ristorante emanasse un odore sgradevole? Forse sarebbe bello, così il gourmet dell'una tantum tornerebbe al sacrificio che gli impone questa valle di lacrime. Si potrebbero chiudere gli allevamenti, tanto la nostra economia non ha bisogno di nulla e chi lavora negli allevamenti di astici può cambiare mestiere, c'è tanto lavoro per tutti, si sa.

Lasciamo stare le ipotesi stupide e vediamo di ricorrere al “crust stan”, visto che i crostacei dobbiamo mantenerli vivi fino all'ultimo momento per le ragioni scritte qui sopra. Il crust stan è una macchinetta che stordisce il crostaceo prima di immergerlo nell'acqua bollente, sarà anche un'invenzione umanitaria (in questo caso crostaceitaria), ma è soprattutto un'invenzione di grande utilità per i ristoratori che trattano con frequenza questo tipo di cibo; non a caso si sta diffondendo in Gran Bretagna dove l'uso dei crostacei è elevato.

Chi ha bollito un'aragosta sa bene che l'animale non gradisce l'immersione e si dibatte, se l'aragosta è piccola passi, ma se è grande possono nascere problemi come l'acqua bollente che esce dalla pentola e spegne il fuoco, la pentola che si rovescia, scottature (ben vi sta, provate ciò che prova l'aragosta) eccetera. Per questo i ristoratori che sono alle prese tutti i giorni con tanti animali da cuocere hanno adottato con favore l'apparecchio che stordisce, così i crostacei stanno fermi e non creano problemi. Come si vede i golosi sanno conciliare la sensibilità con l'economia e, perché no, col “progresso”.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 02/06/2002


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