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Giovanni Rebora

Trenette e resistenza

Caro Presidente Biasotti, nella sua battaglia del pesto dovrà valersi della consulenza dei giuristi e Carbone è uno grande, anche se genoano, ma forse per questo informato sull'importanza della voce dei “minori”, alludo alle varie “leghe”.

Noi il pesto lo facciamo a modo nostro, con il basilico di Prà per le nostre lasagna, per le trenette e per gli gnocchi di patate; ma lo facciamo col basilico dell'estremo Levante se vogliamo condire gli strazzui (che sono testaroli sottili e stracciati a mano). Insomma lo facciamo con il nostro basilico che qualche scemo pagato (vedrete che dimostrerò l'attendibilità dell'aggettivo) ha detto che è cancerogeno. Naturalmente se assunto in dosi industriali, impossibili per un essere umano, potrebbe far male, ma fa male qualsiasi indigestione. Noi ci mettiamo anche l'aglio, magari di Vassalico, vuol dire che anche i nostri interlocutori si abitueranno all'aglio, visto che “fa bene”.

Il liberismo è un'ideologia come le altre. Quando occorre, il liberista va a procurarsi una concessione esclusiva e, se può, impedisce agli altri di produrre ciò che ha chiesto di produrre da solo, appunto, in esclusiva.

La tendenza al monopolio è parte della cultura monarchica occidentale, inteso per monarchico non solo il modo di condurre lo Stato, ma anche l'insieme dei privilegi che dal monarca possono scendere.

Nulla di nuovo, quindi, ma molto di pericoloso: c'è il rischio oggettivo, reale, che una volta ottenuti i marchi “Sanremo” e “Pesto”, la grande casa svizzera pretenda di impedire a Ratto, a Sacco e a tutti gli altri imprenditori di fare il proprio basilico e il pesto a modo nostro. A nostro modo di cocciuti liguri, che dovremmo difendere i nostri prodotti anche dalla minaccia di acquisto della terra ad alto prezzo per poi chiudere le serre.

Se il “resto del mondo” vorrà comprare i barattoli di pesto che altri (non la Nestlè, come ci informa una nota del gruppo) producono con basilico vietnamita si accomodi pure. Perfino la coprofagia ha una lunga storia, sia come fenomeno di malattia soprattutto infantile, sia come sacro simbolo. Tutti sanno che lo scarabeo stercoraro era sacro in Egitto. Le abitudini degli altri vanno rispettate, purché non diventino obbligatorie. Credo che ciò implichi che vanno rispettate anche le nostre abitudini, sentirò il parere del giurista.

I pericoli della degenerazione del “globale” sono noti, il “male” non sta nella globalizzazione, ma nelle sue degenerazioni non controllate da chi dovrebbe invece occuparsene con più cura: la crisi attuale di alcuni colossi statunitensi dovrebbe fare riflettere anche gli elettori americani che hanno dimenticato John Maynard Keynes. Non spetta a me giudicare né ho gli strumenti per opporre resistenza, salvo la mia di piccolo uomo.

Spero però che siano anche i giovani a dire no, non solo in occasione di “manifestazioni di massa”, che suscitano interesse a devono essere intese almeno nei contenuti migliori: si capisce che penso ai “no global” e alla voglia di gridare il loro “no”. Ma gridare una tantum non vale, vale resistere. Un mattone contro la vetrina di McDonald's è solo un reato contro un'azienda che, almeno, “mette in regola” i suoi dipendenti. Altri ristoratori e rivenditori extracomunitari sono altrettanto in regola? Non sono globalizzanti i gamberetti scongelati? Perché non si prova a resistere alle tentazioni della parte peggiore del capitalismo, se davvero non piace?

Ecco l'esempio ci viene dal presidente Biasotti. Così, per concludere, voglio fargli sapere che oltre ai suoi obblighi istituzionali ed alle pratiche che deve avviare, mi ha colpito la sua dichiarazione di “resistenza” nei confronti della Nestlè.

Da queste pagine mi sono permesso con fin troppa frequenza e forse un po' presunzione di “predicare” la resistenza. Adesso mi condivide il presidente della Regione. Non posso non essere contento: la politica delle parti non c'entra, si tratta di noi tutti.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 24/07/2002


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