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Giovanni Rebora

L'Italia perde in Europa la battaglia del vero cioccolato


Un bel libro edito da Rosellina Archinto e scritto da Sophie D. Coe e Micheal De Coe, La vera storia del cioccolato, leggo e trascrivo queste righe: “...si prova un senso di orrore a leggere i racconti delle adulterazioni alimentari largamente diffuse in epoca vittoriana”. Quanto riguardava l'Inghilterra non era esclusivo: “In Francia,...nel 1815 il cioccolato veniva adulterato con piselli secchi ridotti in polvere, farina di riso o di lenticchie e amido di patata...”.

Nel 1875 uno scrittore francese mette in guardia su due tipi di adulterazione diffusi nel suo Paese. Il primo consiste nel togliere completamente il prezioso burro di cacao (da vendere a parte) e sostituirlo con olio d'oliva, olio di mandorle dolci, tuorli d'uovo o grasso di vitello o di montone. Non scrivo del secondo metodo perché è, forse, incredibile.

Come si vede la tendenza a fare a meno del burro di cacao è antica e la perseveranza dei produttori di cibi artefatti è ammirevole, essi sanno che, con tanti soldi, si possono aggiustare anche le leggi. Questo non è un mistero per nessuno, forse. Adesso si può fare a meno del burro di cacao in tutta Europa, lo dice la corte di giustizia dell'Ue con sentenza pronunciata il 16 gennaio 2003 a Lussemburgo che condanna Italia e Spagna per aver imposto la dicitura “surrogato di cioccolato”. La questione potrebbe sembrare di poco conto (non expedit), ma com'è che anche di fronte alle più palesi adulterazioni deve vincere la maggioranza? Che senso ha in questi casi casi la “democrazia” e quando Demo (popolo) entra in questa Crazia?

A Genova lavorano aziende antiche come i Romanengo, che hanno ancora, in bottega, le antiche macine di pietra; ci sono artigiani che fanno buonissime cose di cioccolato (Viganotti, Zanotti e Buffa, per esempio) e poi ci sono nuovi venuti ma con prodotti di eccellenza, i giovani Domori che cercano i grandi cru del cacao e altri ancora che non so citare a memoria. Usano burro di cacao, non fanno adulterazioni eppure le loro botteghe sono sempre piene di gente. Ma c'è anche l'industria grande, la Novi per esempio, che produce prodotti ottimi a prezzi accessibili e produce anche prodotti di eccellenza. Tutti questi produttori non sembra che siano costretti a ridurre i costi e a sostituire il burro di cacao.

Com'è, forse le aziende del Nord Europa, che hanno a cuore i problemi cercano un prodotto a poco prezzo per poterlo vendere ai bambini poveri? Facciano pure, nulla da eccepire e nulla soprattutto contro i bambini poveri, ma perché ai poveri dobbiamo dare un cioccolato falso? Non è educativo, potrebbero crescere nell'ignoranza finché uno spagnolo o un italiano, svelando loro l'inesistenza della befana, cedesse alla tentazione di regalare qualche cioccolatino vero. Non si scherza con le delusioni dell'infanzia, ohibò. Vuol dire che i poveri avranno un po' meno cioccolato, ma che sia vero.

Intanto ora non c'è altro da fare che informare bene la gente. Carlin Petrini presiede Slow Food e mi aspetto i suoi commenti e la diffusione degli stessi tramite i suoi mezzi di comunicazione: con Carlin siamo d'accordo anche nel giudizio positivo sul ministro Gianni Alemanno, avrà il suo problema e sarà difficile soluzione, ma il giovane ministro è preparato e tenace, spero che tutti noi consumatori lo aiuteremo a trovare una soluzione.

Stavolta siamo stati condannati per aver fatto tutte le cose perbene (anche l'Europa è il Paese di Pinocchio?) e siccome il risparmio in euro tra il cioccolato falso e quello vero non dovrebbe essere enorme, noi continueremo per la nostra strada, compreremo un cioccolatino di meno, una tavoletta più piccola, ma di cioccolato col burro di cacao.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 17/1/2003


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