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Giovanni Rebora |
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Fiorentina addio ma io non mi rassegno |
La fiorentina era un cibo da giovani di buon appetito. Quando si arrivava a Firenze dopo sei ore di viaggio, fatta la doccia si andava dal Troia nei pressi di Santa Maria Novella oppure, con qualche lira in più, si scendeva nella Buca Lapi e si affrontava la grande bistecca, il fiasco di vino e i fagioli con l'olio. Era tanta, buona e grande e non ha mai fatto male a nessuno. Col passare degli anni il grande fettone si divideva in due o tre amici e ciascuno voleva anche la sua parte di osso che l'oste Mannori di Genova provvedeva a tagliare con somma giustizia.
Ora una nuova legge Merlin ci vieta la fiorentina con l'osso e il legislatore provvede ad insegnare ai macellai, con termini giuridici, come si deve disossare. Come tutti i divieti anche questo è fatto per il nostro bene.
Tre o quattromila morti all'anno sulle strade a causa dell'alta velocità, altri a causa delle stupidità delle corse notturne, appaiono o sono più numerosi delle mucche malate e degli uomini da esse infettati. Anche le pecore con l'afta sono meno pericole delle automobili, eppure ne sono state bruciate sessantamila. A quando l'ecatombe delle automobili? Invece si parla di patente ai sedicenni, magari di diritti di voto, chissà che alcuni reati, un tempo orribili, non vengano depenalizzati.
Ma torniamo a tavola. La ricerca scientifica, quella che può e potrebbe fare chissà quali miracoli, è non è in grado di stabilire se una mucca è pazza o è savia? Se nel midollo della mucca chianina non ci fosse traccia di virus non si potrebbe liberare la fiorentina?
Questa cosa potrebbe valere anche per altri allevamenti, piemontesi o veneti o siciliani, a meno che la ricerca su questi problemi non sia ancora in alto e tempestoso mare dove i ricercatori si sentono rari nantes in gurgite vasto. Io non ho mai amato la trasgressione, da giovane mi pareva una stupida prova di conformismo dell'anticonformismo, ma ora, alle soglie dei settant'anni, mi viene una voglia matta di fiorentina, di cervella e trippe. Io sto cercando uno spacciatore vero e, a costo di finire sui giornali troverò il modo per continuare a mangiare a modo mio. Figuratevi che mangio il tonno fresco (mercurio e tutto), le acciughe crude e perfino la verdura concimata con le deiezioni delle mucche che, da quando fanno le deiezioni, pretendono di essere considerate funzionarie rurali e non si debbono più chiamare vacche, bensì operatrici casearie o nutrizionali. Ora le mucche sanno di essere al riparo dai guai, sanno di avere il diritto a stalle confortevoli ed anche al massimo rispetto, forse alle ferie (perchè no?) e prima che siano lasciate libere di fornire le splendide costate saranno necessarie lunghissime trattative e complicati iter burocratici, quelli che gli incompetenti chiamano rozzamente lungaggini.
Pare che dopo il vaccino non si debbano somministrare alimenti carichi di antibiotici e additivi, ciò rallenterebbe la crescita per almeno due mesi; il vaccino contro l'afta e la conseguente vaccinazione dovrebbe gravare sui costi dell'allevatore e poi ricadere sul prezzo della carne. Un ragioniere accorto potrebbe obiettare: Un rogo così imponente di buoi o pecore non riduce il patrimonio più di quanto non lo ridurrebbero i costi suddetti?. Certo , caro il nostro mezzemaniche, ma la riduzione del patrimonio la paga in gran parte il Re, mentre i costi dovrei sostenerli tutti io, è lo Stato che ha ordinato la strage e le stragi, si sa, sono sempre a carico del popolo.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 01/04/2001
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