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Giovanni Rebora

Se un piatto di lenticchie è un'opera di ingegno

Si verificano notevoli flessioni negli acquisti di caviale (-25%), di salmone (-15%) e di champagne (-30%). Lo comunica la CIA, che stavolta appare bene informata, visto che non si tratta di spie, ma della più preparata e mite Confederazione Italiana Agricoltori.


Non vorrei che si trattasse di rinunce dovute al minore reddito delle famiglie, e spero che si tratti, invece, della raggiunta consapevolezza di avere, in Italia, i migliori prodotti e i più bravi produttori.

Pare che i vip americani abbiano scelto i prodotti italiani per il cenone di Capodanno, compresi i vini. Sono contento e sono informato (stavolta): i prodotti italiani consumatori a Los Angeles sono tra i migliori e non sono tra i più cari; i ristoranti italiani di alto livello sono sempre affollati di clienti. Se possiamo congratularci per le esportazioni, ciò che mi conforta e premia il mio ottimismo è il dato italiano: in Italia i prodotti “tipici” del nostro Paese sono al primo posto tra quelli che saranno consumati a capodanno. Slow food lavora da molti anni su questo problema, pur trattandosi di un movimento internazionale che conosce e riconosce la bontà dei cibi, ovunque siano prodotti. La camera di commercio di Genova è impegnata in questo settore da molti anni e la provincia di Genova (ancora con la Camera di Commercio) sostiene il Conservatorio delle cucine mediterranee.

I ristoranti di tutta la provincia di Genova sono saliti di livello e offrono, tra l'altro, prodotti liguri di sicura provenienza, comprese le carni nostrane e quelle da cortile: coniglio, tacchino, gallina, pollo, gallo, anatra e anche, dopo anni di oblio, le buonissime oche.

Con tutto questo non voglio invitare nessuno a rinunciare al fegato d'oca (che – per altro – a Mortara e in Friuli viene buonissimo), o ad alcuni formaggi foresti, ma vorrei che i miei connazionali confermassero queste nuove tendenze, dimostrando così che una cosa è il gusto, il sapore e il piacere che se ne ricava, altra cosa è l'ostentazione di ricchezza e di maldigerito sapore esotico, che spinge a consumare i prodotti importati solo perché sono costosi e rispondono a nomi dall'incerta pronuncia.

Ora, in Italia, siamo in grado di produrre vini di alto pregio e voglio ricordare che l'Asti spumante Contessa Rosa, in abbinamento alle ostriche, ha stravinto i due degustazioni “senza etichetta” ove concorrevano grandi champagne.

Mi piacerebbe che, insieme con la terra, il clima, le specie e le varietà, fosse valorizzato anche l'ingegno degli italiani: lo stoccafisso è norvegese, ma in Italia è “più buono”, basta questo esempio. Confettieri, pasticcieri, cuochi, salumieri e formaggiai e tutti gli altri produttori di cose buone, non si valgono solo della materia prima (che deve essere la migliore), ma soprattutto del loro ingegno e della loro esperienza.

Credo che le opere dell'ingegno debbano essere valorizzate e ne debba essere favorita e protetta la realizzazione. Basta pensare al salto di qualità dei vini sardi e siciliani, avvenuto con la stessa materia prima del passato, oppure alla polemica sul pesto genovese che ha rivelato quanto fosse gradita questa salsa e quanto ambito impossessarsi del marchio da parte di colossi industriali che, qualche volta mostrano la debolezza delle loro caviglie di argilla.

Mi dice l'Ansa che le cose buone, il tacchino, lo zampone, il cotechino e le lenticchie, la frutta secca e, perché no, un piatto di trippa, siano tra le più richieste: visto? Chissà se si tratterà di una sottilissima fetta di zampone con otto lenticchie (proteine vegetali) e due schizzetti di salsa verde e rossa, o se almeno a Capodanno ci si potrà permettere di trasgredire, anche rispetto alla “presentazione” del piatto.

Un Capodanno, a Bergeggi, da Edoardo Riccardi, tra le altre eccellenti cose c'era un cotechino di Bolsena “su un letto di lenticchie”, piacque anche a mia moglie, che se lo ricorda ancora. Auguro a tutti un felice San Silvestro all'italiana con tanto buon cibo nostrano e vino “sincero”, pandolce e moscato spumante. Auguri.

Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX – 31/12/2003


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