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Alla ricerca del sapore perduto (del pollo) |
Ho ricevuto alcune comunicazioni intorno ad un convegno dove si è parlato di polli, tacchini e faraone. A parte i dati statistici sui consumi delle carni bianche e sulle preferenze degli italiani, ho letto che finalmente qualcosa si muove anche nel senso della corretta comunicazione. Quando la comunicazione è corretta, almeno da noi, è quasi sempre noiosa (ora si adegua perfino la pubblicità: diventa bruta e stucchevole), uno dei relatori spiega che da trent'anni i polli non sono più allevati in batteria, e nemmeno i tacchini; da un altro veniamo a sapere che le carni bianche sono ricche di proteine.
Registriamo poi che gli italiani (77%) non sanno indicare chi svolge attività di controllo. Le scoperte si accavallano alle scoperte e noi non sappiamo come seguire tante novità, ma è pur vero che noi italiani siamo disinformati, non solo sulle virtù del pollame, ma anche sui nostri diritti e sulle istituzioni preposte a farli rispettare. Alcune sere fa, invitato in un ristorante sulla Colletta, ho avuto del pollo che sapeva di pollo, anch'io, che passo per competente, mi sono sorpreso: segno che il turbinio delle informazioni è tale che perdiamo di vista ciò che invece dovrebbe essere, almeno per noi consumatori, più interessante degli amori e dei disamori di persone note a chi non sa cosa guardare alla televisione.
Insomma, c'è voluto un convegno per dirci cose che da trent'anni stanno migliorando, cose che mangiamo. Ce lo devono dire, noi non sappiamo mai niente, noi chiediamo al governo di tutelarci sempre, dal mercato al cesso. E' possibile che se una cosa è cattiva non se ne accorga nessuno e ci sia bisogno di chiedere che ci pensi il governo? Quando si tratta di veleni, di truffe, di frodi alimentari, mi sembra giusto denunciarle ed altrettanto giusto che vengano perseguite duramente, ma conosco documenti medievali che mettono in guardia dalle frodi, non è la nostra un'epoca privilegiata, almeno in questo senso. Qui si tratta di reati, ma quando si tratta di scegliere al mercato, anche noi consumatori dovremmo informarci, essere un poco più attenti ai fatti nostri che a quelli di attricette e bellocci, di cui la gente sa tante cose, a sentire le chiacchiere sugli autobus. Ci pensa il governo è una locuzione che non vale, pensiamoci noi, vedrete che anche il governo si adeguerà.
Insieme con le comunicazioni dell'agenzia di stampa sui polli, me ne è giunta un'altra, intitolata mangiar fuori casa che non significa mangiare all'aperto, ma in qualche sordida bettola. Anche qui si danno consigli non richiesti, si cerca di spiegare ai cretini come dev'essere il luogo ove si capita per mangiare. Il luogo deve essere areato anziché aereato, passi per il refuso se non si incappa anche in una areazione. Siccome si tratta di un decalogo ove la libertà di scelta delle preposizioni è almeno divertente, veniamo a sapere che nel locale ristorante i pavimenti e in generale gli arredi devono essere puliti, non si devono vedere residui di cibi, carte, cicche o rifiuti per terra. I locali, tra l'altro, devono essere privi di mosche ed insetti. Faccio grazia del resto, ma dove vanno a mangiare questi consigliatori che avvertono: i servizi devono essere esclusivamente per il pubblico? Mi sembra naturale, obbligatorio e controllabile. Lo sanno anche i Nas e altre polizie statali e comunali esistono e devono controllare? A me risulta che spesso i controlli sono fin troppo fiscali, che l'igiene è indispensabile, ma che è anche necessario lasciar lavorare la gente. Eppure c'è sempre qualcuno che, per il nostro bene, ci mette in guardia. Fa bene, perché noi siamo distratti dagli intrattenimenti, noi trepidiamo per calciatori e regine, ma non ci importa nulla della cultura del cibo, salvo elevare vibrate proteste quando ci capita qualcosa all'apparato digerente.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 27/05/2004
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