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Giovanni Rebora

Minaccia afa, è ora di riscoprire la campagna

L'informazione minaccia afa, chiama "buone notizie" le previsioni di diminuzione della temperatura, insomma, i nostri informatori preferiscono le brume invernali. Viaggiare con catene, beccarsi una polmonite, pagare tanti euro per riscaldare le case (senza contare l'inquinamento), comperarsi un cappotto pesante, deve essere molto bello per questi denigratori dell'estate, che spendono tanto tempo e parole per informarci sui rimedi possibili in caso di "afa". Ci pensa anche il signor ministro, sia il "Gran sanitario" che ci consiglia il supermercato o sia l'altro ministro, che ci manda dai pompieri. Se dovessere venirsene a Genova, il Gran sanitario e l'altro, potrei consigliare di prendere il "19" dove, quando funziona, c'è l'aria condizionata. Per difendersi dal freddo occorrono molti soldi, anche in passato ne occorrevano e la gente temeva il freddo e amava il caldo dell'estate, che si chiamava "bella stagione". C'è anche il problema della solitudine. Uno crede che chi ha avuto la fortuna di diventare vecchio sia diventato anche saggio, invece no: "sola beatitudo, solitudo beata" non è ammissibile, che razza di vecchio sei?


Io sono un anziano, con tanto di nipotini, ma qualche momento di solitudine non mi ha mai spaventato, anzi l'ho ambito più volte, ma non mi è toccata questa cosa, avevo da fare. Ora però giornali e televisione minacciano afa, per tutti e per gli anziani in particolare, soprattutto quelli lasciati soli.
Questa estate non mi sembra eccezionale, però vorrei correre ai ripari, ho rinunciato ai supermercati freschi perché non voglio comperare nulla di inutile, e poi non sono "governativo" e non mi valgo dei consigli dei ministri, soprattutto se mi ricordano i fratelli De Rege.


Insomma, mosso a compassione, per la mia incapacità di scegliere un luogo fresco, Sergio Rossi, direttore del Conservatorio delle Cucine mediterranee, mi ha proposto una gita nell'Appennino, a Tiglieto, in provincia di Genova. Invitati da Giorgio Dal Pian siamo andati a visitare una sorta di paradiso terrestre creato da un amico, Giorgio, pieno di voglia di fare, di entusiasmo e di capacità tecniche.
La visita mi ha entusiasmato, ho trovato un'agricoltura "di qualità" che non si vale della retorica dell'ecologico, ma produce cose buonissime, come i cosiddetti frutti di bosco: lamponi e mirtilli (grossi e piccoli), more, fragole e merelli, già, i merelli, quelli che erano le fragole dei boschi prima della scoperta dell'America. I merelli si raccolgono stando in ginocchio (chi raccoglie merelli è un benemerito, anche se non è mai stato carabiniere), se ne raccolgono migliaia di scatolini di plastica; quelli troppo maturi o rovinati perché premuti al momento della raccolta, vanno a fare un liquore buono anche per chi, come me, non ama cose dolci da bere.


L'azienda si sviluppa su alcuni piani (in salita) ricavati dagli antichi terrazzamenti abbandonati, ha il suo bravo bosco e l'acqua che viene distribuita con quattordici chilometri di tubi. C'è il laboratorio dove la signora e Giorgio fanno la marmellata, attrezzato e pulito come una sala operatoria, c'è la cucina del ristorante che risponde alle caratteristiche che dovrebbe rispettare qualsiasi ristorante e quello agrituristico in particolare, cioè: attrezzature moderne e pulitissime e un menù ricavato da prodotti del proprio orto (ho avuto un minestrone con scuccusù da mettere nell'elenco dei buoni ricordi), e sostenuto da prodotti delle fattorie dei dintorni, tutti di primissima scelta, vino "bianco e rosso", due vini ottimi, da agriturismo, nel senso che si va a Tiglieto per mangiare pesce di mare e per bere vino di grandi bottiglie, si va a vedere come si può produrre tanto e bene, come il genio del vecchio mercante sa trasformare un luogo semi abbandonato in una terra produttiva.


Il "turismo" sembra poter risolvere tutto, ma è la produzione che rende ricco un paese. L'azienda che ho visto è produttiva e bella, accogliente e ricca di interesse, ai confini con il parco del Beigua, tra i monti, là dove sono andato per funghi anch'io, nella mia bella stagione, quando non era "moda" e suscitava risolini di compassione. Se sarò capace di superare anche questa estate, e l'esperienza dovrebbe aiutarmi, andrò a Tiglieto quando sarà arrivata la stagione dei funghi, spero che Giorgio e suo figlio Luca convincano la signora a cucinarmeli secondo i nostri vecchi costumi, poi vi racconterò.


Giovanni Rebora – IL SECOLO XIX - 03/08/2004




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