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Il Decreto della Discordia OGM? No grazie, preferisco essere libero di mangiar bene |
Il liberismo è un'ideologia, lo sanno anche coloro che ostentano ignoranza. Libero mercato non significa che ciascuno può fare i fatti suoi senza regole, sennò sarei tentato di chiedere perché si fanno pagare le tasse ai produttori e si caricano di balzelli d'ogni sorta, utili solo a scoraggiare la produzione e a trovare denaro per pagare i controllori (e a far vendere macchinette e contatori a qualche amico).
Il
ministro dell'Agricoltura Alemanno, mille miglia lontano dalla mia
vecchia cultura, propone un decreto sugli organismi geneticamente
modificati. Un decreto che viene fermato, dopo opportuna riflessione
(cioè dopo che qualcuno ha telefonato ad altri componenti del
governo, magari dall'estero), perché"diminuisce la
libertà": pare che sia troppo rigido, che non permetta a
qualche colosso estero di vendere e diffondere anche in Italia i suoi
semi geneticamente modificati.
Se non fosse che per me la ricerca scientifica dev'essere incoraggiata anche con investimenti e "libertà di organizzazione" (assolutamente ignota nel mio Paese), se non sapessi che le piante più robuste finiscono per prevaricare e poi sostituirsi a quelle meno forti (non "vaccinate"), se non sapessi che «la vita di un uomo è lunga per tribolare, ma corta per fare esperimenti, specialmente in agricoltura» (sentenza di un vecchissimo cercatore di tartufi del Monferrato, raccolta da Enrico Vigna), insomma dopo questi "se" potrei anche accettare la riflessione proposta dal ministro per le Attività produttive Marzano e lo stop del presidente del Consiglio. Ma io temo fortemente lo sdegno dei miei amici agricoltori, quelli che producono prodotti di qualità, lavorando con tanti rischi "di mercato", quelli che tentano di produrre cose buone e belle e fanno ciò che possono per non avvelenarmi, per darmi ancora le melanzane piccole da riempire, i cavoli gaggetta, le zucchine trombetta, i pomidoro maturati sulla pianta, il vino e l'olio e perfino la polenta buona.
Già,
perfino la polenta. Pare che se noi non mangiamo mais modificato
tentiamo di affamare la povera gente dell'Africa o di chissà
dove. Perché non lo danno agli africani? Perché devo
comperare io quelle cose lì? La risposta che mi viene è
la più facile: perché i poveri veri non hanno soldi per
pagare, invece io sì. Capito bene? La beneficenza si fa ai
ricchi, che pagano. Ai poveri penseranno le apposite organizzazioni.
Quanto
alla "produzione da medioevo", citata da Confagricoltura,
mi sembra che non si abbiano notizie certe sulle cose che si
producevano nel medioevo, mi pare anche che non si tenga conto dei
tentativi niente affatto "patetici" di produrre cose
migliori: ci sono aziende piccole e medie (ho letto del "nanismo"
delle nostre aziende, pare che chi ne ha scritto sia un economista)
che sono la parte migliore e più importante della nostra
economia, anche dal punto di vista del numero degli "addetti",
cioè di chi ci lavora, numero che supera bellamente quello
delle grandi industrie.
Non
ho voglia di scrivere numeri, contateveli voi gli addetti alla
coltura dell'olivo e della vite, gli addetti all'orticoltura di
grandissima qualità, contatevi le aziende che fanno cose
buonissime, vedrete chi è che sostiene la nostra economia, e
la sostiene senza forzare la nostra cultura, medievale sì, ma
talmente più ricca e diversificata di quelle che ci si
vorrebbe imporre, tale che aiuta anche le nostre esportazioni.
È
probabile e quasi certo che l'Italia importi prodotti geneticamente
modificati, che li trasformi e che li riesporti opportunamente
caricati di valore aggiunto, in questo caso si esporta una cosa che
da noi viene valorizzata mediante un procedimento che sta
nell'intelligenza dei "trasformatori". Questa intelligenza
non si riesce a riprodurre, altrove, nemmeno con gli Ogm, perché
è frutto della nostra storia (la storia è ignota anche
e sempre ai nostri reggitori), che non è stata cancellata
nemmeno con i bombardamenti a tappeto.
Vendano
i loro prodotti e il loro seme a chi li comprerà, ma non
vengano a imporre a noi, che abbiamo la nostra storia, anche
alimentare, ciò che non vogliamo, anche il rifiuto dovrebbe
essere considerato libertà.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 12/10/2004
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