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La pancia e la testa |
Facciamo che tu eri obeso. Si fa così, c'è un obesometro che ti misura il "girovita" e tu sei obeso. Brutto, cattivo e obeso. Se va bene, di nascosto, tu fumi: all'aperto ma nel bosco, dove provochi incendi dolosi. Insomma qui non si sa come fare: i fumatori che con tanta baldanza avevano avvelenato tutti noi stanno risalendo le Alpi, coperti di vergogna.
Una guerra vinta ne richiama un'altra: la pancia. L'autorevole pancetta del borghese antico, di Cavour e di Benedetto Croce, è divenuta il simbolo di una alimentazione dissennata.
Vuoi vedere che Camillo Benso beveva il vino? Quello con alcol dentro, quello dei cattivi. Vuoi vedere che Don Benedetto, seppure di nascosto dai suoi discepoli, mangiava pasta col ragù e si beveva qualche gotto.
Questi
due signori che cito in un impeto di irriverenza, avevano la loro
brava pancia. Cavour non l'ho visto, ma Croce sì: era basso ed
era solo pancia e testa, ma la testa era buona, non condividevo tutte
le sue idee, ma ero ammirato dal fatto che quella testa sapesse
produrle, elaborarle ed esprimerle.
E però "teneva la
panza".
Insomma non sarà il panzometro a riformare la nostra società, né le tendenze proibizioniste di ministri poco informati sul passato. Il papà del Kennedy presidente fece la sua fortuna con il proibizionismo. Grazie al proibizionismo ci furono i gangsters e i films sull'epopea dei gangsters. Noi abbiamo la mafia, la camorra, la stidda, la Sacra Corona e altre organizzazioni senza nome né tradizione, ma non abbiamo un adeguato proibizionismo che ne esalti la funzione: cosa aspettiamo?
Lasciamo stare queste facezie e veniamo alla realtà, la nostra realtà di Paese civile nonostante le ideologie. Noi siamo in grado di produrre le cose migliori del mondo, sia per la bontà della nostra terra e del clima, sia perché la nostra cultura ha elaborato da più di duemila anni un "modo di mangiare" che non ha pari al mondo.
Ma il nostro "modo di mangiare" prevede una sosta, prevede di sedersi a tavola e cibarsi bene, sia a pranzo, sia a cena. Dobbiamo ritrovare il tempo necessario, sacrificare qualche telefonata, qualche momento di finto tempo libero e tornare a mangiare per alimentarci bene, e per goderci la migliore cucina del mondo.
Basta riflettere, non è vero che il tempo è tiranno. Siamo noi che non sappiamo amministrarlo. Che temiamo, purtroppo sempre, di non essere adeguati agli altri, a quegli "esteri" che appena possono vengono a rimpinzarsi da noi.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 19/01/2005
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