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Giovanni Rebora |
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La Liguria, poco più di vent'anni fa, dava vini bianchi di pessima fattura e tra i rossi emergeva solo e solitario il Rossese.
Qualche produttore tentava di vinificare meglio, ma non produceva per il mercato bensì per sé e per qualche amico. Il resto era ai limiti del dannoso. Vini solforati secondo un uso ormai secolare (pare che siano stati gli olandesi a inventare nel seicento, il sorfanino) che aveva abituato le classi subalterne a quel pessimo sapore, ma che trovavano estimatori sia in chi non conosceva di meglio, sia nei sostenitori di una tradizione che avrebbe dovuto condurre il consumatore a bere male un vino che sapeva di solfo perché, sennò, sarebbe diventato aceto già alla fine della primavera. Quelli tra i penati che potevano si procuravano vini buoni, spagnoli o francesi o toscani, il Liguria gli antenati ricchi e ricchissimi erano numerosi, per gli altri c'era la tradizione. E la tradizione è durata a lungo, difesa strenuamente anche dai piccoli e piccolissimi produttori, i quali sostenevano che il sapore di solfo venisse dal terreno. Giovanni Verga attribuiva al rispetto detta tradizione una parte importante dei mali sociali della Sicilia del primo Novecento.
Circa trent'anni fa, quando i Fratelli Lupi fecero un ottimo vino (l'Ormeasco, ad esempio) e furon seguiti da altri che ebbero anche riconoscimenti nazionali (cito solo i Bardellini e Parodi dei Massaretti). Anche a Levante si prese a lavorare meglio con risultati sorprendenti per i vermentini di Lunigiana e per il Cinqueterre e perfino per le bianchette genovesi che hanno riabilitato sia il Coronata sia il Valpolcevera, grazie a Barisone di Coronata e a Bruzzone di Valpolcevera. Ora in Valpolcevera si tenta anche un vino rosso.
Mille auguri di cuore e, se si può, si tenti anche di trovare i vitigni giusti: la granaccia rossa ad esempio non è da trascurare visto che, sposata con altri vini, dà risultati sorprendenti (Chateauneuf du Pape ne è un esempio).
Quando un numero nutrito di persone e di aziende comincia a lavorare bene, va a finire che qualcuno emerge, che arrivano riconoscimenti nazionali come i tre bicchieri. L'evento non ha suscitato entusiasmo né ha fatto notizia.
Da noi l'invidia e la retrologia riescono anche a far tacere i giornali, ma è il caso di essere contenti perché significa che i vini liguri a concorso cominciano ad essere numerosi. Se Mattè delle Cinqueterre riuscirà a mantenere le promesse vedrete che ci darà nuove soddisfazioni, pur sapendo che certi riconoscimenti bisogna mantenerseli e che non tutte le annate vanno come quelle degli ultimi anni del secolo appena trascorso. Fatto sta che ora, anche in Liguria, sono arrivati i riconoscimenti ed i tre bicchieri.
I tre bicchieri sono arrivati per un produttore dell'altopiano delle Manie, tra Noli e Finale, che ha presentato un pigato eccellente prodotto insieme con altri due vini bianchi e con un rosso di grandissima qualità. Purtroppo questo rosso è poco e non può entrare nelle competizioni che tengono conto anche della commerciabilità di un vino, ma è un vino senza uguali, degno di stare tra i grandi italiani, francesi e spagnoli. Questo rosso è fatto con uva grenache rossa, rossese e pochissimo barbera: un'idea che mi ha commosso perché sarei voluto essere io il produttore di quel vino (faccio per dire, io non saprei potare nemmeno la gramigna, figurarsi curare una vigna). Dato che non ha bisogno alcuno di pubblicità, lo segnalo quindi con nome e cognome: il produttore è Vladimiro Galluzzo, un amico caro e signore di campagna, che ha un cavallo per segare l'erba e lo usa a mo' di falciatrice, vive in una sorta di Paradiso terrestre con un anfiteatro di vigna davanti alla sua casa, ha una cantina perfetta e produce, oltre al vino buonissimo per la tavola, un vino da dessert completo di una sorprendente acidità che lo rende buono con i formaggi piccanti e con i dolci, si chiama Terre Rosse, come la cascina di Vlady (mi permetto di chiamarlo con il diminutivo) che offre al visitatore un esempio di come posa essere elegante l'essenziale semplicità di una casa di campagna e come possa essere elegante il Terre Rosse che produce, confezionato in cassettine di cedro del Libano.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 09/06/2001
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