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Giovanni Rebora |
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Cinque Terre, ora si vendemmia il costosissimo lo zafferano |
Quando compilavo la tesi di laurea mi imbattei in un diploma di Rodolfo, Imperatore del Sacro Romano Impero, in cui si parlava di zafferano. Caspita, pensai, chissà perché una cosa così è andata a finire sul tavolo dell'imperatore, era l'anno 1586 (l'anno del documento) e la cosa mi spinse a curiosare sullo zafferano. Trovai molti documenti relativi a spedizioni di balle di zafferano provenienti da Barcellona e dirette in Germania. Si vede che ai tedeschi piaceva molto visto che lo pagavano fior di quattrini, in più lo avevano caricato di proprietà medicinali, come si fa con le cose costose, che devono far bene se si vuole giustificare il loro prezzo esoso.
Le quantità erano comunque eccezionali, seppur giudicate dalla mia inesperienza, si trattava di centinaia di balle piene dei preziosi stami del croco e appunto crocus veniva chiamato nei documenti.
Lo ritrovai, lo zafferano, nel traffici dei veneziani con l'Abruzzo dove sostenevano la produzione con acquisti precoci, e dove pare che, almeno all'inizio, lo pagassero con perline di vetro colorate. Immagino che si tratti della solita bufala, ma certo non lo pagavano quanto se lo sarebbero poi fatto pagare dai tedeschi. Era una spezia molto richiesta ed è ricordato nelle pratiche di marcatura medievali con le opportune avvertenze contro le sofisticazioni e le contraffazioni, pratiche in uso nel medioevo e, pare, mai cadute in disuso visto che oggi si trova la curcuma in circolazione col nome di zafferano, visto che gli arabi lo chiamano zafran. La curcuma è anch'essa una spezia, ma è soprattutto una materia tintoria che dà un colore vicinissimo a quello dello zafferano, ma solo il colore, l'aroma è diverso e anche il prezzo, basso per la curcuma e altissimo per lo zafferano.
In quanto spezia, nel suo commercio si impegnarono sia i genovesi sia i veneziani non tanto perché fossero più furbi degli altri, ma perché erano forniti dei capitali sufficienti per fare anticipazioni ai coltivatori e assicurarsi il raccolto.
In più erano dotati di una organizzazione mercantile che permetteva loro di mettersi in contatto con i compratori in tempi sorprendentemente brevi.
Lo zafferano si produceva, in quantità mercantili, nelle stesse località ove ancor oggi si produce: Abruzzo, Catalogna, Iran e dintorni. Altrove si produceva e forse si produce ancora, ma in quantità commercialmente non rilevanti.
Adesso, mi raccontano, si produce zafferano nei pressi di La Spezia, a Campiglia, se ho inteso bene. Sarei lietissimo di poter augurare buon lavoro a chi ha intrapreso questa coltura, nella speranza che esista una macchina capace di staccare gli stami in qualche modo che non metta alla prova la pazienza dell'operatore o, più probabile, l'operatrice che doveva staccare gli stami ad uno per volta badando a non rovinarli. Dodici pelitos per persona diceva la venditrice catalana, che aveva interesse a far sì che il consumatore abbondasse. Il caro prezzo e la somma delle sofisticazioni, dei surrogati e di altro, ha fatto perdere un poco di prestigio allo zafferano vero, ma il suo uso, ad esempio nelle zuppe di pesce, nei piatti con i gamberi e in molte altre preparazioni mediterranee è un uso da ripristinare al più presto, visto che ora avremo pelitos liguri e potremo reintrodurli, pur senza esagerare, nelle nostre pietanze.
Vedrete che dentro uno stame ci saranno quantità enormi di principi attivi, di vitamine e di altre diavolerie, però a me piace così com'è, nella mia ignoranza lo userò come in passato per insaporire e colorare i cibi (il riso, per esempio) e lo userò perché mi piace. Se in Liguria è appena agli inizi della sua coltura non significa che sia meno buono il prodotto: chi ha detto ci vuole il pedigree per le cose buone? Speriamo invece che chi ha intrapreso questa coltura venga incoraggiato a continuarla, magari non caricandolo di tasse e di pratiche burocratiche, sempre inutili e troppo spesso dannose...
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 08/11/2001
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