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Giovanni
Rebora |
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Il pesce non ha colpe semmai le ha l'allevatore |
Circa vent'anni fa organizzai due convegni sui problemi del mare, uno a Genova e uno, l'anno successivo, a Santa Margherita. Vi parteciparono studiosi di antropologia, di storia e di biologia. I convegni ebbero scarso successo di pubblico, ma si parlò di allevamento in termini positivi, erano i primi tempi di queste attività e c'erano perfino remore ideologiche.
Gli uomini inventarono l'agricoltura per procurarsi il pane e la zuppa, inventarono l'allevamento per avere latte e carne programmati, arrivando così a mangiare carni di allevamento. Studiarono anche il modo per conservare i pesci vivi, le pescherie dei romani si chiamavano piscine, per avere pesci in ogni stagione, la cosa andò abbastanza bene per il pesce di acqua dolce, ma il pesce di mare sembrava rifiutarsi di nascere e crescere in cattività.
Così i pesci di mare costosi per tutta la storia (quelli di scaglia, soprattutto: sparidi e altre specie pregiate) non entrarono se non in parte esigua nella gastronomia. Un pesce di grossa taglia poteva essere trasportato anche per due giorni senza alternarsi troppo, ma costava moltissimo, i pesci piccoli non sopportavano viaggio di sorta.
I grandi cuochi lavoravano solo grandi pesci di mare, mentre potevano pescare carpe, tinche, anguille e perfino storioni nelle pescherie, o lungo i fiumi o nei laghi. Ciò significa che un pesce d'acqua dolce poteva essere programmato ed entrare nel menù di ristoranti e trattorie, mentre il pesce di mare era soggetto ai capricci del tempo, delle stagioni e anche della natura, difficile da controllare. Un allevamento di pesce di mare sarebbe stato costosissimo e non si avevano nozioni né esperienze sufficienti per programmare la riproduzione di pesci in cattività. Solo il tonno si programmava, aspettando i branchi che si infilavano nelle tonnare, ma anche le tonnare costose (lo sono ancora) e chiedevano investimenti capitalistici.
Detto ciò, veniamo a noi: siamo finalmente arrivati a riprodurre i pesci nelle vasche. Ora anche l'operaio e l'impiegato possono permettersi un'orata o un branzino e perfino un sarago. Ora si coltivano gamberi imperiali (mazzancolle), e si tentano con successo produzioni di molluschi che oltre ai mitili ed alle ostriche, già da tempo coltivati, andrebbero ad aggiungersi alla gamma di scelte del consumatore. Dobbiamo però stare attenti perché l'impianto e la coltura sono costosi e non è detto che si debbano mangiare orate, branzini e altro, a prezzi stracciati. Il mercato ha accolto bene questi prodotti e li consuma, soprattutto nelle trattorie e nei ristoranti che possono programmare il loro menù sapendo che troveranno sempre pesci pregiati in formato porzione e a prezzi ragionevoli.
Ora gli allevatori si trovano a subire la concorrenza degli allevatori di Grecia e Turchia che mandano sul mercato ingenti quantità di pesce a prezzi stracciati, essi non badano, si vede, alla pulizia continua nelle vasche (le faci dei pesci vanno a fondo insieme col mangime e i pesci mangiano, quindi, mangime e nitriti). L'affollamento delle vasche è anch'esso causa di guasti e soprattutto il mangime, di qualità scadente, simile a concime. Non si tratta, come si vede, di qualità del pesce o di colpe dell'allevamento, ma di colpe degli allevatori.
Veniamo in breve alle qualità organolettiche. Un pesce cresciuto in mare ha superato prove difficili, si è difeso dai predatori o ne ha eluso le attenzioni, ha accumulato grasso solo nel caso di dover deporre le uova (e quindi superare un periodo di digiuno), ha i muscoli tonici visto che nuota tutto il giorno anche con mare sfavorevole e correnti contrarie, ha conquistato e cercato il suo cibo. Il pesce allevato non arriva all'età di riproduzione perché, nella stragrande maggioranza dei casi, viene pescato prima, può ingrassare in modo anomalo (rispetto ai colleghi di mare) e quindi presentare un eccesso di grasso che ne altera le qualità organolettiche, si pesca sempre e non è stagionale, quindi non si tiene conto della differenza di tono muscolare presente nei pesci liberi a seconda della maturazione sessuale. Queste cose fanno la differenza, ma sono correggibili, sia dagli allevatori che possono far dimagrire il pesce in zone di mare pulito, sia dai cuochi che dovrebbero studiare il pesce che lavorano. Intendo dire che se un pesce è troppo grasso, occorre estrarre lo strato di grasso che sta tra il peritoneo e le costole, eliminare la parte troppo grassa del ventre e pulire bene il tutto; se non appare freschissimo occorre togliere lo strato di grasso che sta tra la pelle e la carne, e si vedrà che sta prendendo l'oro, cioè che il sottile strato di grasso ingiallisce. Questo accade soprattutto ai pesci conservati nel surgelatore. Non è difficile per nessuno, tanto meno dovrebbe esserlo per chi vende cibi cotti per professione; insomma, la cucina del pesce allevato non può essere identica alla cucina del pesce che definiamo di mare. Si dovrà studiare meglio sia il pesce allevato sia quello congelato o surgelato, certe cotture rapide o scenografiche, per turisti frettolosi, esaltano i difetti del gusto. Ma c'è rimedio per tutto, e tanti auguri agli allevatori onesti, il loro lavoro rende possibile una alimentazione più ricca per tutti.
Giovanni Rebora IL SECOLO XIX 06/12/2001
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