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NELLA NOTTE MAGICA DI IVAN KUPALA

sta in Il CUCU' DELLA SELVA NERA, di Elvi Morchi


2

L'orologio nuovo era un po' diverso dall'altro cucù che Olga aveva avuto nella sua vita.
Era addirittura più bello, tutto colorato, con le foglie ben intarsiate e le pigne dorate, però appariva meno caldo, forse perché non aveva ancora segnato il dolore di nessuno.

Il vecchio orologio era un oggetto della famiglia di Vanja. Un po' più grande di questo, era fatto di legno naturale, reso lucido dai passaggi del panno di chissà quante donne.

L'aveva portato dalla Germania la nonna paterna di Vanja, quando, appena sedicenne, era stata costretta ad abbandonare nella sua Patria un sogno d'amore biondo per seguire la famiglia trasferitasi in Russia dietro a suo padre, assunto come agronomo da un giovane signore di campagna che aveva ereditato troppo e troppo presto.


Tornato in fretta e furia per la morte del padre da un viaggio di due anni in Europa, che l'aveva reso insofferente alla situazione di ristagno medioevale della sua terra, questo giovane si era trovato appena ventenne a dover gestire numerose proprietà, illuso di poter risolvere i problemi della Santa Russia con l'ammodernamento dell'agricoltura e l'istruzione dei contadini.

Era fissato con l'igiene e aveva fatto ridere tutti i paesani con certe sue innovazioni assurde. Quella che però li fece arrabbiare fu quando pretese che tutti si facessero fare un graffio sul braccio da un dottore chiamato apposta per l'occasione.

"E' la moderna vaccinazione, quella che sconfiggerà il vaiolo. Niente a che vedere con la rischiosa vaiolazione, pericolosa quasi quanto l'epidemia!"

Ma il graffio si era gonfiato e si era tramutato in una pustola, infetta come quella del vaiolo, in molti aveva causato febbri altissime e su tutti aveva lasciato un bollo rossastro. Li aveva marchiati come bestie. Ma come ragionare con il padrone? Quando i vecchi, col colbacco in mano, erano andati a implorarlo di smetterla, lui aveva preso a cercare di convincerli che con quel segno non si sarebbero più ammalati di vaiolo. Ridicolo! Tutti sapevano che al vaiolo non c'è scampo e quando viene, viene. Chi poteva essere così stolto da credere che il male si sarebbe fermato solo vedendo il braccio marchiato dei contadini?

Ma il padrone era stato irremovibile e, quando aveva mostrato il suo braccio, marchiato come il loro, i vecchi se n'erano tornati a casa sconsolati, sicuri che in Europa avesse incontrato la pazzia che li avrebbe portati tutti alla rovina.

Il giovane signore era così convinto delle sue idee che non si scoraggiò: pretese che facessero i loro bisogni in buche recintate e chiuse, ma proibì loro di usarli per concimare gli orti e periodicamente li costringeva a ricoprirli con latte di calce. Era per non far venire i vermi ai bambini, diceva. E se qualcuno aveva il ventre gonfio si arrabbiava e tirava fuori un sacco di storie: l'avevano lasciato sedere nudo per terra, non gli avevano fatto lavare bene le mani prima di mangiare... insomma voleva avere sempre ragione lui! Poi aveva proibito che la sera portassero in casa gli animali per dormire con loro come si era sempre fatto e dopo aveva mostrato alle donne come fare le pulizie. Un pazzo.

Volle addirittura insegnare, sempre alle donne, lui, maschio e senza figli, come allevare i bambini.

"I piccoli vanno tenuti all'aria e al sole, liberi da fasce." E le madri piangevano, temendo per i figli perché, se durante i primi mesi non sono stretti bene, i bambini vengono su storti. E il sole fa male agli occhi ed è per questo che i neonati devono stare al buio e al silenzio.

Ma il giovane, oltre ad essere pazzo, forse non era nemmeno un uomo normale.

Nella sua terra infatti le donne, pur piegate in avanti durante la mietitura o nei lavori nella casa padronale, non avevano da temere che la mano del padrone all'improvviso capovolgesse loro la sottana sulla schiena e le costringesse ad accogliere in corpo il suo membro voglioso, come succedeva ai tempi del nonno del padrone. Grazie a Dio, niente di tutto questo faceva il nuovo signore.

"Cose da bestie." aveva detto tra uomini. Ma forse non approfittava della sua posizione solo perché gli piaceva troppo suonare la spinetta e farsi il bagno e improfumarsi come una donna di malaffare...

Malgrado le sue stranezze, tutto quello che toccava diventava oro. E i campi davano un buon raccolto, la gente pareva davvero ammalarsi meno e in quelle terre mai erano nati bambini così belli. Quando si dice la fortuna!


A quei tempi Oleg, che sarebbe diventato il nonno di Vanja, aveva meno di vent'anni e si era conquistato le simpatie del padrone quando era andato alla scuola del villaggio, di sua volontà, a chiedere che insegnasse anche a lui a scrivere e a leggere. Già, perché il giovane signore perdeva anche tempo ad insegnare ai figli dei contadini, cosa assolutamente inutile perché non si è mai visto un contadino spargere il letame con i libri!

Così quando era arrivato l'agronomo tedesco, chiamato in Russia per sistemare i campi, Oleg gli era stato messo al fianco.

Il tecnico, contento del ragazzo, che mostrava doti di intelligenza e di memoria superiori alla norma e sapeva parlare con i contadini e convincerli a fare quello che si pretendeva da loro, prese a portarselo a casa la sera, ad insegnargli il tedesco, a prestargli libri di agronomia. Durante queste sere Oleg si lasciò affascinare dalla bionda Petra, che, silenziosa e triste, ricamava vicino alla stufa. Quando pensava che nessuno lo vedesse, non poteva fare a meno di alzare gli occhi su di lei, ma la ragazza non ricambiava mai lo sguardo e Oleg, già convinto di non poter aspirare nemmeno a tanto, si sentiva perso.

In quell'inverno andava solo e controvoglia, nelle sere di festa, all'ampia isba di Pavel Michailovic che i giovani del villaggio ogni ottobre predisponevano per l'inverno. Come gli altri arrivava verso le sette di sera, pagava la sua quota al padrone, che accoglieva la gente seduto al tavolo, per l'occasione a destra della porta, e si sedeva su una delle panche del lato dei giovanotti. Le ragazze sedevano a sinista, su una panca dirimpetto ai giovani o su una a lato della parete della finestra bella, poco discosta da quella dei giovanotti. I ragazzi parlavano e ridevano tra di loro, in attesa che la veglia cominciasse, Oleg invece rimaneva zitto e qualcuno tra i vecchi aveva già notato questo cambiamento, che contrastava col suo carattere e si stava domandando di chi si fosse innamorato.

Quando la riunione era al completo, dopo la canzone d'inizio, con cui tutti ringraziavano il padrone dell'isba e gli chiedevano il permesso di iniziare la veglia, si faceva il gioco della quaglia. Mentre tutti cantavano in coro, a turno i ragazzi si avvicinavano alle ragazze, davano un colpetto sulla spalla della preferita e si scambiavano un inchino con loro. Poi la serata andava avanti tra canti e balli e brevi momenti di riposo per permettere ai suonatori e ai cantanti di riprender fiato.

Una sera apparve nell'isba la bella Petra, accompagnata dal padre e dal fratello più giovane. Tutti si zittirono di fronte alla sua bellezza, almeno questo parve ad Oleg, perché per lui fu un'apparizione che gli cambiò il mondo. Era vestita di un sarafan rosso, stretto in vita da un nastro giallo, con una camicetta bianca ricamata dalle maniche a sbuffo e aveva i capelli raccolti in una retina tempestata di perline. Molte erano le ragazze benestanti che arrivavano vestite così, ma nessuna aveva la grazia esotica di Petra e il suo sguardo triste e appassionato.

Ballarono il ballo 'attorno alla città' e qualcuno tra gli sposati decise che la ragazza dentro al cerchio doveva essere Petra e ad Oleg capitò di fare il giovane rimasto fuori dalla città. Quando alla fine entrò nel cerchio per baciare la ragazza, temette che il cuore gli scoppiasse dall'emozione e si sentì svenire, sfiorando con le labbra la pelle di Petra che rise, guardandolo negli occhi.

Quella stessa sera le ragazze, secondo la tradizione, fecero i pronostici per l'anno che stava per arrivare.

Ognuna mise l'anello in un piatto colmo d'acqua ricoperto da un asciugamano. Presero a cantare le canzoncine da piatto, che indovinano la sorte della padrona dell'anello che sta per essere estratto e ad ogni canzone, tra risa e gridolini, tiravano fuori un anello. Quando cantarono quella del matrimonio, apparve l'anello di Petra e lei, mentre gli altri applaudivano, guardò Oleg sorridendo appena, con uno sguardo che lui non capì.

Il giovane si convinse solo che doveva parlarle.

Petra lo fece aspettare a lungo perché aveva altro nel cuore. Solo il ventiquattro giugno, durante la notte magica di Ivan Kupala, quando gli innamorati saltano a coppie i falò, gli disse di sì e saltò con lui.

Poi gli parlò con franchezza. Se stava con lui si sentiva serena e rideva come non aveva mai riso con nessuno, ma non sapeva se lo amava perché con lui non aveva mai provato quell'emozione che piega le ginocchia e aveva provato per l'altro lasciato in Germania.

Oleg ci rimase male e ne parlò col padre della ragazza, che era un uomo onesto e sapeva cosa era giusto e sbagliato. Il tedesco era convinto che il giovane, malgrado le sue origini contadine, avrebbe potuto far felice sua figlia e costruire con lei una bella famiglia. Così lo convinse a sposare lo stesso Petra: l'amore, quello vero, non è solo fatto di passione, disse.

Ed ebbe ragione perché il matrimonio dei due giovani fu un matrimonio felice, basato sulla confidenza e sul rispetto reciproco. In casa loro si rise e si parlò sempre molto.

Però alle nove di sera, per tutta la vita, al richiamo del cucù, Petra si fermava, qualsiasi cosa stesse facendo e si sedeva davanti all'orologio. Oleg allora sentiva dentro di sé la punta della vecchia spina e si allontanava dalla stanza per non scoprire in Petra il sorriso lontano di quando salutava con la mente il suo Rodolf mentre le andava incontro in una strada di Brema o accettava da lui i fiori di una primavera passata.

Petra si fermava qualche minuto con questo suo sogno d'amore. Rodolf non l'aveva mai baciata. Solo una volta, di sfuggita, le aveva stretto una mano tra le sue e lei, sotto il raso del guanto, aveva sentito un calore che le si era propagato per tutto il corpo. Non l'aveva mai abbracciata, mai stretta. Chissà come sarebbe stato l'amore con lui. Chissà che uomo era diventato Rodolf. Chissà se la pensava ancora. Petra sospirava, spolverava il cucù, lucidava le sue foglie imbevendo un panno nell'olio di lino, poi tornava ad affrontare la vita col sorriso ancora impigliato sulle labbra: anche per lei c'era stato un grande amore.

Tranquillamente andava ad abbracciare il suo Oleg, che non l'aveva delusa e serenamente riprendeva al suo fianco la vita di ogni giorno.

E lui sentiva sciogliersi in tenerezza il suo dolore.


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