Dopo l'irruzione nell'ambiente
cinematografico argentino di Mundo Grua (1999), primo
lungometraggio salutato con entusiasmo dalla critica e dal
pubblico, Pablo Trapero, che nel frattempo ha prodotto vari lungo
e cortometraggi con la sua casa produttrice Matanza cine e ha
realizzato il corto docu-sperimentale Naikor, la estación
de servicio (2001), ritorna sugli schermi europei (in attesa
di vederlo in Italia), via Cannes 2003, con El Bonaerense
(2002). Diventato un po' il simbolo del nuovo cinema argentino -
tante idee budget zero - assieme a un gruppo di cineasti
latinoamericani (i brasiliani Walter Salles jr. e Meirelles, Il
produttore italo-inglese Donald Ranvaud, il messicano Alejandro
Gonzales Inarritu, di cui vedremo a Venezia 21 Grams) sta
in questi giorni lanciando una agenzia per la distribuzione in
cooperativa delle proprie opere senza passare per intermediari,
la Buena Onda. In questo giorni in cui l'Argentina torna alla
ribalta con la cancellazione dell'immunità per i crimini
commessi durante la dittatura militare, Trapero racconta il suo
Paese e il suo cinema.
Com'è nata l'idea per
questo nuovo film ?
L'idea di El Bonaerense è
precedente a Mundo Grua, non mi riferisco alla
sceneggiatura definitiva, ma alla storia. Volevo infatti
raccontare la vita nel Grande Buenos Aires, cioè le
esistenze di quell'area metropolitana che circonda la città,
così definita dalla gente del posto. Un luogo che mi
appartiene perché lì ho trascorso la maggior parte
della mia vita. Ma in particolare volevo fotografare il periodo
menemista quando l'immagine dell'Argentina combaciava con quella
di Buenos Aires, smascherando la finzione del mio paese durante
quei dieci anni. Una finzione che si rifletteva perfettamente
nelle montature di giornali e televisioni, ma che non
corrispondeva per niente a ciò che realmente significava
vivere in Argentina. Quasi subito ho compreso che la maniera
migliore era far rivivere «la strada», attraverso il
comportamento della celebre polizia bonaerense in quel periodo,
tristemente nota per la sua corruzione e violenza. Ho giocato poi
anche sul titolo della pellicola perché il termine
bonaerense ha un doppio significato: è al contempo
il nome che si dà alle persone provenienti dalla provincia
di Buenos Aires (mentre i cittadini di Buenos Aires sono porteñi)
ed è anche l'aggettivo utilizzato per nominare «il
poliziotto».
Anche in questo film, dopo Mundo
Grua, troviamo un protagonista maschile alle prese con una
sorta di apprendistato, di cambio esistenziale. Il lavoro quindi
ritorna come un leit-motiv su cui si basa l'intero
intreccio...
Questo perché credo che il lavoro
sia una forma di definizione della persona. Così come la
scuola modella uno studente, il lavoro o la mancanza di lavoro
può influire in maniera determinante sulla personalità
dell'individuo. In un sistema come quello in cui viviamo il
lavoro definisce le scelte di vita, al lavoro si stringono
amicizie, amori, odi. M'interessano soprattutto questi aspetti
della società lavorativa e ho preferito allargare lo
spettro di visione non limitandomi come in Mundo Grua, a
puntare la lente sul proletariato. Siamo perché lavoriamo,
il lavoro attraversa tutte le classi sociali così come la
disoccupazione e mi piace raccontare questi micro-mondi, la
quotidianità, le piccole cerimonie che fanno mutare i
percorsi.
Sembra però che il personaggio
principale si lasci trascinare dalle circostanze, che non decida
della propria vita...
In realtà il personaggio
non è così innocente come appare. È vero
Zapa durante tutto il film, a parte il finale, lascia in mano
d'altri le decisioni che lo riguardano. Questo però
apparentemente perché in realtà è lui a
muovere i fili della sua esistenza. Quando suo zio lo fa assumere
in polizia potrebbe rifiutarsi; quando diventa amico del
commissario non è diretto, ma attraverso piccoli movimenti
cerca di essere notato; quando vuole conquistare la professoressa
le si avvicina in modo tale da lasciare a lei la scelta. Ogni
decisione di Zapa la prende una terza persona, però Zapa è
pienamente cosciente di tutto. Volevo proprio un personaggio con
una falsa innocenza, un'apparente ingenuità, che diventa
ogni giorno più oscura e pericolosa, perché alle
spalle di questa apparente apatia c'è una selezione di un
mondo sempre più buio.
Parlami della fotografia
del film...
Cercavo uno stile fotografico che mi
permettesse di rendere l'ambiente del Gran Buenos Aires e della
provincia, protagonista di tutta la prima parte del film, con
un'immagine da cartolina. La pampa con i suoi orizzonti infiniti,
i cieli azzurri, con i suoi nuclei urbani pieni di colori, dalle
pubblicità alle bancarelle con la frutta. In realtà
la pampa presenta molte più sfumature, il verde non è
così bucolico, a volte è perfino rabbioso, gli
azzurri sono più forti. Così la fotografia del film
è super artificiale, ultra manipolata, ma l'idea era
quella di cercare di lavorare il colore tentando di
monocromatizzarlo. D'altra parte questa decisione crea il giusto
contrasto con la violenza della storia. Per esempio c'è un
momento in cui il viso scompare nel nero, non esiste più
nulla, nemmeno un controluce, è nero su sfondo bianco, mi
piaceva questo, lavorare sulla pura forma.
Le riprese
sono iniziate pochi giorni prima dell'entrata in vigore del
corralito (il blocco dei conti bancari, ndr.) come
siete andati avanti nonostante le violente proteste che hanno
messo a ferro e fuoco le città argentine?
In
verità le riprese sono state interrotte molte volte. Tutti
i soldi del film, oltre ai miei risparmi erano bloccati dalle
banche. È stato molto difficile risolvere la situazione
anche perché non avevamo idea di cosa sarebbe accaduto
all'Argentina. Si parlava di guerra civile, la gente era
terrorizzata dalla possibilità di un colpo di stato,
nessuno ci capiva niente. Il film però rappresentava una
specie di risorsa, di legame con la realtà.
Inevitabilmente quello che accadeva nelle strade del paese si
riversava sul set: siamo stati costretti a cambiare metà
dell'equipe tecnica perché molte persone dello staff hanno
abbandonato il paese. D'altra parte si formarono legami molto
intimi e amicizie vere. Così nel film si avverte questo
clima di oppressione e solidarietà, oscurità e
speranza in cui vive Zapa e che ha molto a che vedere con ciò
che stavamo vivendo noi.
In seguito al successo di
Mundo Grua hai avuto proposte da produzioni estere ?
Sono
ormai molti anni che sono nel mondo della produzione ed ho
imparato a riconoscere le produzioni traditrici che invece di
aiutare i film li distruggono. Troppo spesso infatti le
produzioni estere sono asservite a meccanismi finanziari che non
hanno nulla in comune con la cinematografia. Mi riferisco
soprattutto alle produzioni occidentali che pretendono di
concludere affari smisurati in paesi con problemi economici come
possono essere quelli latinoamericani. Inoltre c'è quella
che definisco la colonizzazione dei registi: pretendere di avere
poteri su di un film semplicemente perché le produzioni
forniscono un attore e un operatore non ha senso. La qualità
del film diventa secondaria, non importa se il film ha pubblico.
A queste condizioni ho sempre opposto un rifiuto. L'idea della
nostra casa produttrice, Matanza cine, è agli
antipodi: la produzione è veramente interessata che il
film sia un successo artistico, senza distruggere le idee del
regista. Una linea d'altra parte seguita anche dalle coproduzioni
con la Spagna, l'Italia, la Francia.
Come cineasta
indipendente in Argentina, quali sono i tuoi progetti per il
futuro ?
Negli ultimi anni, i film argentini sono
arrivati a buon livello di qualità, arrivando all'estero e
ottenendo numerosi riconoscimenti. Molti di questi film, incluso
Mundo grua, fino a cinque anni fa non sarebbero usciti
nelle sale. Oggi si conquistano lo spazio meritato grazie alla
loro genuinità, al fatto che non sono pensati per il
botteghino. Sta succedendo qualcosa d'incredibile. Negli ultimi
due anni i film argentini sono stati presentati a Cannes,
Berlino, Locarno, Venezia, Toronto e nei festival più
importanti molti vinsero dei premi. Credo che sia qualcosa da
festeggiare. Peronalmente comunque ho in progetto un nuovo
lungometraggio, il terzo come regista, intitolato Famiglia
rodante, che cominceremo a girare in primavera a Buenos
Aires.
Di che si tratta ?
Il giorno in cui
un'anziana signora compie 85 anni riceve una telefonata dal suo
villaggio natale per essere la madrina delle nozze di un parente
lontano. La nonna invita tutta la sua famiglia, figli, nipoti
ecc. ad accompagnarla in questo viaggio, che diventa l'occasione
per rincontrare la sua grande famiglia e rivedere il suo
villaggio natale. Il film diventa così un viaggio
all'interno dell'Argentina, nelle province tra Rios Corrientes e
Misiones, che sono le terre di frontiera con il Brasile e
l'Uruguay. È un viaggio per tutta la costa verso
Misiones... è un ritratto di questa famiglia.
Intervista di Roberto Carlotti
IL MANIFESTO 23/08/2003
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