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MUSICA

Gino Paolo: “70 anni di emozioni”

Paoli, come sono stati questi 70 anni?

Sono sereno e non rinnego nulla. Nemmeno le stupidaggini. Più o meno è andata bene.

È cambiato molto?

Moltissimo, altrimenti sarei un imbecille.

È un artista scomodo?

Si, perché sono sincero. Non sono fanatico e non ho spirito di parte. E poi cosa vuol dire essere scomodo? Oggi non c'è ribelle che non rischi di essere strumentalizzato o fagocitato.

Mi fa un esempio?

Michael Moore di Fahrenheit 9/11: sarà pure scomodo ma è distribuito da una multinazionale, dal potere.

E lei ha combattuto spesso il potere?

Sì, ma l'ho sempre identificato con un volto. Ho litigato tante volte con Craxi, ma poi ho provato pena per l'uomo quando gli tiravano le monetine. I vinti mi fanno compassione, non riesco a odiare chi è a terra.

Ci sono molti vinti nel mondo?

Sì, ma ci sono anche troppi vittimisti. Io invece penso ai vinti che non vanno né in tv né al cinema. La povera gente che non ha più tempo per pensare. Il vinto vero, e non fa notizia, è chi deve pensare a sopravvivere.

Lei è pacifista: avrebbe mai pensato di vedere quello succede oggi?

Se guarda la storia, gli uomini non imparano nulla dagli errori. Penso anche che chi conosce la guerra e non la rifiuta è cretino o fanatico. Ma il punto è un altro: nessuno ricorda com'è fatta una guerra. Quando si grida all'orrore per 2500 persone morte nelle Twin Towers e non si ricordano le 150 mila di Hiroshima, vuol dire che c'è un difetto di memoria. Uno dei nostri valori più massacrati.

Me ne dica un altro?

Il rispetto per la vita degli innocenti. Gli uomini si picchiavano per un pezzo di terra, ma rispettavano le famiglie. Alle convenzioni d'onore obbediva anche la mafia: donne e bambini non si toccavano.

E un artista che ci può fare?

Io non so per quante persone parlo ancora, ma ce ne sono molte che mi ascoltano. Non voglio dare messaggi, ma suscitare sentimenti. Di solito, qualcosa succede, però la responsabilità enorme.

Lei l'ha mai sfuggita?

No.

Perché è rimasto popolare?

Non ne ho la più pallida idea. Forse perché non ho mai voluto accontentare: se dovessi fare le cose per piacere, cambierei mestiere. Io voglio esprimere le cose che credo siano giuste, anche a costo di farmi dei nemici.

Hai mai rischiato di sbandare nella vita?

Sì, perché non ero più io. Fortunatamente, quando ero cotto, mi rimaneva la lucidità di non scrivere. Adoravo la lucidità di Montanelli. Io invece sono più passionale, istintivo. Ero anche aggressivo. Una volta ho detto a mio figlio: se mi avessi conosciuto a vent'anni o mi picchiavi tu o ti picchiavo io, perché ero una bestia.

Però ha scelto l'amore come tema fondamentale delle sue canzoni...

Probabilmente perché uno cerca proprio nella zona dove non è così capace. Cerco nel mistero, non dove so già.

Ha mai risolto il mistero dell'amore?

No, è impossibile.

Però lo ha cantato spesso...

Ne ho cantato proprio girandoci intorno, ma mai arrivando al centro: le cose che dureranno per sempre negli uomini sono quelle che non capiscono.

Cosa è stato più importante: cercare di capire e comporre canzoni?

Per me è stata la stessa cosa. Non saprei creare emozioni senza la musica o le parole.

Ha poi scritto la canzone perfetta?

Credo di sì: "Sassi" si avvicina alla mia idea di perfezione, che non è bellezza o riuscita tecnica ma fedeltà all'emozione che l'ha causata.

Le manca qualcuno?

Molte persone. La prima cosa che ho pensato quando è morto mio padre è stata: quanto tempo in meno ho passato con lui. Mi manca quello.

Un collega memorabile?

Bruno Lauzi. Dice che i poeti scrivono solo quando sono tristi, perché quando sono allegri fanno l'amore. Bruno è una persona straordinaria, il più forte di tutti noi, per lui ho un'enorme ammirazione.

Lei invece quando scrive?

Quando ho una speranza, anche se la situazione è pesante. Negli ultimi tre anni ho scritto poco perché non riuscivo a vedere un orizzonte.

Ha amato tanto?

Non so cosa voglia dire amare. Se si intende innamorarsi di un'immagine, un'idea, no, non credo che mi sia mai successo. Se invece è voler stare con una persona perché ti manca, allora sì, l'ho provato ma solo dopo averla conosciuta a lungo.

Nelle canzoni è più breve...

È tutto o più breve o più dilatato. La canzone è come una spirale, pensi a "Senza fine", che gira sempre nello stesso punto e nello stesso momento. Probabilmente anche voler bene a una persona per me è questo: girarle intorno finché non entro in sintonia e da lì può avvenire qualsiasi cosa. È difficile dire se ho amato tanto o meno, non so cos'è l'amore.

E le donne?

Se non ci fossero, il mio interesse per la vita sarebbe ridotto. Le donne sono fantasia, illogicità, un altro emisfero. Sarò sincero, qualsiasi donna mi incuriosisce.

Se sono così importanti, perché gli uomini continuano a non capirle?

Perché è impossibile capirle, se non sei una donna. Come è impossibile capire gli uomini, se non sei un uomo».

Le donne non capiscono gli uomini?

No, e viceversa. Si può tentare di avere un ponte con le donne e scambiarsi dei sentimenti.

Ci ha provato con le canzoni?

Sì, almeno due volte: con "Questione di sopravvivenza" e con "Fingere di te" nel nuovo album.

Di cosa parla?

Dell'immutabilità nell'amore che poi è il tema di tutte le mie canzoni. Le persone cambiano, l'amore vero no.

Cosa insegna ai suoi figli?

Nulla, non si può insegnare nulla. Sono i figli ad assorbire la tua energia, quello che pensi. Se sei onesto, hai buone probabilità di trasmetterlo.

Ci sono artisti per i quali è valso fare questo mestiere?

Premesso che il mio mestiere ha agganci anche con pittura, letteratura e poesia, potrei dire Rachmaninov, ma anche Giacometti e Edith Piaf.

Una bella compagnia...

Le mie radici non sono solo la musica leggera. Quando ho scritto "L'elmetto" mi sono accorto che era "Nulla di nuovo sul fronte occidentale" di Eric Maria Remarque.

Chi avrebbe incontrato?

Brassens, Picasso, Renoir, Henry Miller, i primi surrealisti, Breton.

È rimasto anarchico?

A Pegli, sul cavalcavia della ferrovia, c'è scritto "comunismo sì ma anarchico". Ecco, il comunismo sarebbe stato un passaggio importante se non l'avessero massacrato Stalin e tutti gli altri.

Il potere corrompe?

Andreotti dice “il potere logora chi non lo ha”. Aggiungo: logora coscienze, moralità, etica. Non sono contro il Cesare di Shakespeare, che si assume colpe e responsabilità per far star bene la gente. Ma contro il dittatore che diventerà”.

Lei ha fatto politica col Pci.

Un'esperienza frustante, non son riuscito a fare quello che volevo: cioè essere utile agli altri.

Cosa vorrebbe regalarsi?

Un paradiso dove stare con le persone che ho amato. E ci vorrei un'enorme libreria con tutta la conoscenza umana e poterla leggere tutta.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 24/09/2004

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