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MUSICA

Gli enigmi di Paolo Conte. Esce il nuovo disco

È vero, ha sempre la faccia un po' così, stropicciata, con le parole che escono a bassa voce, che non tradiscono l'accento piemontese. Paolo Conte non sa nemmeno cosa dire, ora che dopo nove anni esce un disco di inediti. «Che ci volete fare, in questi anni ho suonato, ho fatto tanti concerti per un pubblico che si aspettava da me tutto questo - dice - e poi, l'ispirazione non viene mica tutti i giorni. Ma ho cominciato a scrivere di nuovo, e tutto sommato mi sono anche divertito».

Elegia (Warner) racchiude tredici tracce struggenti, pervase di dolce malinconia, immergendo chi ascolta in quel mondo d'evasione contiana cui si è stati abituati da sempre. Perché Conte, in questo senso, non è cambiato, lo si ritrova intatto nei suoi virtuosismi musicali, nei concetti che dicono non dicendo e viceversa, nelle parole non troppo enigmatiche ma sulle quali, si capisce, ci ha pensato parecchio su. Ritroviamo anche una puntata della saga del Mocambo, dove le serrande sono ancora abbassate, «ma non è detto che in futuro non succeda ancora qualcosa!», precisa. E ritroviamo le atmosfere retrò del jazz arcaico e dell'epoca delle avanguardie artistiche, quegli anni Venti che ancora oggi l'artista astigiano ritiene il periodo migliore del Novecento. In nove anni Conte non si è mai fermato, tra concerti sempre più sofisticati e ingessati in uno schema ad altissima definizione - quasi concerti cameristici - e riedizioni sempre nuove di pezzi di successo. Che sia stato un alibi per non comporre, questo è da vedere. Ora Paolo Conte si prepara al tour: si parte al teatro Verdi di Firenze (23 e 24 novembre), per poi arrivare a Bologna (25 e 26 novembre), Roma (12 dicembre) e Milano (dal 15 al 20 febbraio 2005). In mezzo e dopo, tante date europee e italiane. (info: www.paoloconte.it). Lo abbiamo incontrato.

Non è che stava diventando un'ossessione, questa volontà di scrivere e suonare una sorta di «standard» di se stesso?

Non saprei, forse sono stato travolto da tutte queste serate intorno al mondo, a me che ormai piace spostarmi poco. Riprendendo a scrivere ho scoperto che la voglia non mancava. Mi sono accorto però che, negli anni, la mia scrittura ha qualcosa che sa più di confessione e rende pubblico, anche se involontariamente, qualcosa che mi appartiene.

I nuovi pezzi verranno riarrangiati dal vivo?

In effetti ci ho già pensato, ma ho bisogno di qualche mese di prova. Per ora suonerò i nuovi testi così come sono nel disco, più o meno.

Ha abbandonato la possibilità di scrivere per altri?

Io in realtà, quando scrivo, mi sento sempre uno che scrive per altri. Ho sempre la pretesa di scrivere la facciata A di un 45 giri.

Come vede cambiata la sua tecnica compositiva?

Continuo a scrivere con la stessa semplicità di sempre, forse c'è un po' più di malinconia.

Si avverte sempre la voglia di chiudersi nel proprio mondo o di evadere in un altro parallelo, «La nostalgia del Mocambo».

Bè, sì, queste sono le mie corde... io ho bisogno sempre di intermediari per dire quello che penso, e di un po' di nostalgia. Il vecchietto del Mocambo adesso è arrivato alla quarta moglie, una francese; con l'austriaca, si sa, non funzionava. Ma lui si inventa sempre il profumo di rumba, intorno a sé. E la francese chissà, magari è stata la cassiera di un locale concorrente al Mocambo.

Più si è esibito in giro per il mondo, più questo disco manifesta la voglia di chiudersi...

È sempre un modo di raccontare la fuga: la fuga verso l'esterno o il suo contrario. Lo dico in Molto lontano: già, da piemontese, avevo fatto fatica ad arrivare a Genova, adesso dico «oltre Milano», che per me vuol dire Shanghai o le colonne d'Ercole. Del resto questo disco è un elogio dell'essere selvatico.

Anche queste tracce raccontano storie: era ormai una necessità, non ce n'erano più su cui far vivere la musica.

Sì certamente, è un disco di necessità. Anche se io mi rifugio sempre nella fantasmagoria, è il mio vecchio metodo, o attraverso schemi cinematografici. In Nel regno del tango e in Sandwich man racconto storie attraverso allegorie. C'è chi vive la vita come in un film, creandosela, e chi invece lo fa attraverso il tango.

Come sono intervenuti gli strumenti nel nuovo lavoro?

Ho utilizzato, come ultimamente faccio, strumenti di musica classica ai quali cerco di dare una diversa connotazione. Il fagotto ad esempio, adatto per il genere burlesco, qui ha un suo ruolo jazz, così come il corno francese. Cerco insomma qualcosa di etnicamente libero.

Conte e le parole: non ci sono caramelle alascane o cose simili...

Sono sempre appassionato di enigmistica, forse qui sono stato meno enigmatico.

Intervista di Francesca Mineo – IL MANIFESTO – 09/11/2004

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