Il sergente Paolo Rossi: ve la do io la guerra |
Paolo Rossi su Telepiù bianco con lo spettacolo Storie per un delirio organizzato. Un monologo con accompagnamento di tre musicisti, registrato qualche settimana fa. E la data non è irrilevante, visto che lo spettacolo ha girato l'Italia in lungo e largo per tutta l'estate, aggiornandosi rispetto ad aventi che hanno cambiato il mondo e quindi anche il teatro. Per lo mano quello di Paolo Rossi, che è sensibile ai mutamenti. Soprattutto quelli che attraversano il pubblico, chiamato a partecipare direttamente e addirittura a intervenire sul testo, anche quando questo sia stato scritto nientemeno da William Shakespeare. Paolo, questo spettacolo quante edizioni diverse ha conosciuto, prima di approdare al video? Eravamo partiti di una settimana di tournée col pullmino, poi credo che abbiamo fatto 30 date. E nel passaggio da una piazza all'altra, che era di 50 minuti, è arrivato a durare un'ora e cinquanta. La cosa deve molto all'esperienza di improvvisazione che abbiamo fatto con Giulietta e Romeo. Vuoi dire che hai un debito con Shakespeare? Assolutamente sì. Gli devo un po' di diritti d'autore. Ma tanto lui non te li chiederà mai. Non è detto. Se c'è un paradiso o un inferno dei teatranti, potremmo fare i conti, prima o poi. Perché vai in tv, anzi in pay tv, solo con uno spettacolo teatrale registrato? Perché lì posso lavorare molto più autonomamente, senza mediazioni, senza compromessi e senza la schiavitù dell'Auditel. Il pubblico deve decidere di mettersi a sedere e guardarlo. E poi penso che tra poco la tv sarà qualcosa di molto diverso da questo scontro Rai-Mediaset. In effetti questo spettacolo è un modo per strappare il pubblico all'inerzia della tv. A me è sembrato quasi una sorta di pedagogia contro la passività. E' un modo di recitare con il pubblico, un modo diverso di intendere il mio mestiere, una tecnica che abbiamo affinato in questi ultimi anni. Così riesci anche a fare recitare quelli che non la pensano come te, li coinvolgi, ti metti a disposizione. Ma non è anche un po' come andare verso la figura del conduttore televisivo? Il conduttore televisivo viene dritto dritto dall'imbonitore delle fiere, ma anche Molière usciva in palcoscenico a tenere buono il pubblico. Per quello che mi riguarda, direi che, come c'è la guida alpina, così c'è la guida teatrale. Io faccio questo: guido il pubblico e faccio teatro popolare. E contemporaneamente è un modo per riflettere su questo mestiere, dato che oggi tutti lo fanno già. L'11 settembre ci siamo accorti che siamo tutti dentro un film. Certo, non sappiamo chi scrive la sceneggiatura, perché ce la consegnano un pezzo alla volta, perché ce la consegnano un pezzo alla volta, però ci rendiamo conto di essere nel film. E questo cambiare di giorno in giorno e aggiungere e togliere insieme, è un modo di fare teatro, uno stile. Uno stile molto impegnativo. Non sarebbe più riposante recitare tutte le sere lo stesso testo? A teatro si vede molto lo sforzo fisico che richiede questo stile di lavoro. Questo perché io sono anche poco furbo. Con Giulietta e Romeo facciamo anche 3 ore di spettacolo. Nessuno lo nota, ma sono tre ore! Agli inizi il pubblico o i critici a dire che lo spettacolo era lungo. Adesso siamo noi che cerchiamo di stringere i tempi. Sarà l'età che ti fa cominciare a sentire la stanchezza. Sì, il problema è anche l'età, che ti porta a risparmiare energie. Poi quello che stanca veramente sono le tournée. Da giovane te ne freghi, invece adesso dormire tutte le sere in un albergo diverso è sfiancante. Ho 48 anni, ma questo è un mestiere lungo e credo di essere appena agli inizi. Con questo spettacolo torni alla satira politica. Con il cambio di governo ti è tornata la voglia? Non era mai morta. I fatti accaduti hanno cambiato lo spettacolo. La satira la uso nei contorni. I piatti forti sono le storie, che hanno un valore più inquietante, profondo, ambiguo, mentre i contorni mi servono a far capire meglio. Lo spettacolo all'inizio aveva solo piatti forti, è il contorno che è cresciuto, la riflessione sulle apparenze, sulle situazioni che viviamo. Quando avete cominciato c'era la pace e ora siamo in guerra. Come avevate fatto a improvvisare attorno a una cosa del genere? E che cosa pensi della guerra? Qualcosa abbiamo aggiunto, ma tutto cambia di giorno in giorno. Io credo che la gente la guerra non la vince mai e che i governi non la perdono mai. E credo che la guerra non risolva mai una questione, ma ne apra molte altre, creando nuovi problemi. Questo poi è una guerra contro i terroristi. Ma si rendono conto che devono ammazzarli tutti? Perché di terrorista ne basta uno solo a fare una strage. Io penserei invece che è meglio asciugare l'acqua nella quale nuotano e lo dico come uno che ha fatto il militare. Sono sergente e so di cosa parlo, mentre tanti parlano proprio senza sapere che cosa dicono. Tra gli altri eventi straordinari c'è stata la sentenza sul Petrolchimico di Porto Marghera, quasi una guerra agli operai morti e alla loro memoria. Ma anche in molti altri luoghi ci sono pericoli ambientali. Che cosa ne pensi tu che sei nato a Monfalcone? Sono in contatto coi miei parenti per saperne di più. Tante volte si conoscono meglio altri posti che quello dove si è nati, ma vorrei poter far qualcosa. Anche a questo serve il teatro. Intervista di Maria Novella Oppo L'UNITA' 11/11/2001 |