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MUSICA

Piero Pelù, pirata del rock

Piero Pelù sembra un equilibrista. Un pirata. Un mangiatore di fuoco. Vestito di nero, capelli lunghi raccolti in una coda, occhi penetranti, smorfia da film noir anni '50. Non lo immagini a fare altro che il cantante rock.

O l'attivista politico, stile America anni '60. Perché l'ex showman dei Litfiba, lasciati cinque anni fa, non perde occasione per lanciarsi in qualche campagna di solidarietà. Una volta è Sierra Leone, un'altra Afghanistan o ex Jugoslavia.

Con Jovanotti e Ligabue incise "Il mio nome è mai più", chiaramente pacifista. Ma anche da solo, in tre album, l'ultimo dei quali, "Soggetti smarriti", esce domani, Pelù è riuscito ad amalgamare uno squisito spirito libertario all'osservazione del disagio e dell'ingiustizia.

"Soggetti smarriti", che Pelù porterà in tour da luglio, è un vortice rock. Da "Vivo" a "Anima animale", lo showman ricuce i temi del sociale a una forte introspezione, come in "Re del silenzio" e "Anche in piedi". Ma è la tolleranza il perno centrale dell'album: dall'omonima "Soggetti smarriti" a "Prendimi così" a "Occhi".

Pelù, si sente un piantagrane?

Con me sì, sono il peggior schiavista di me stesso. Abuso delle mie scarse possibilità, ma spero a fin di bene. Solo ch'è difficile avere sempre stimoli sani....

Mi dice uno stimolo insano?

Mettersi continuamente in discussione, per dirne una.

Lei fa rock, ma si può fare rock senza commentare la realtà?

È difficile. Però bisogna evitare la demagogia, sempre in agguato come una palude. E poi c'è il nostro equilibrio interiore: l'unico che può spingerci a conoscere ed accettare gli altri. È il tema del singolo "Prendimi così".

E lei ha questo equilibrio?

A volte mi sento più sensibile, altre volte sono sono più chiuso in me stesso. Credo che, ogni tanto, si debba stare in silenzio: non solo ad ascoltare gli altri, ma il rumore di fondo del proprio cervello.

Ai tempi dei Litfiba, però, sembrava un teppista, no?

Può darsi, specie quando ero giovane. Mi sentivo un guastatore, ma sempre a fin di bene, senza intenti nichilisti.

Il rock ha mezzo secolo, lei cambierebbe qualcosa?

Forse la sua genesi: un furto che i bianchi, tanto per cambiare, hanno fatto ai neri. Fra Elvis Presley e Chuck Berry, continuo a preferire quest'ultimo. Anche perché Presley, diventato famoso, dimostrò di non avere spirito rock. Non gli fu molto leale.

Lei cosa vede nel rock?

Tutto, può permettersi di essere quello che vuole, con sfumature tutte credibili: può essere militante, sognante, psichedelico, disimpegnato, che m'interessa di meno.

Uno dei brani centrali del disco è"Vivo", guarda caso un manifesto rock.

Sì, perché a 42 anni ho ancora un rapporto contraddittorio con la vita: oggi sto sopra io, domani sta sopra lei, una specie di rapporto fisico che voglio continuare ad avere. Anche per trovare la formula di un mondo più duttile, più a misura d'uomo.

Poi c'è un brano, "Occhio" che parla degli sbarchi clandestini in Calabria.

Sa com'è nato? Un po' da quello che si vede in tv, ma soprattutto da una mia passeggiata sulle spiagge vicino a Riace. C'era lo scheletro di una barca di cingalesi, bruciata per cancellare la traccia dell'ennesimo sbarco. Così ho pensato alle facce di quella gente, speranzosa, e alla sopportazione dipinta sulle nostre. Non voglio dare giudizi, dico solo che quando le persone perdono la loro dignità e cadono nelle mani di criminali diventano "Soggetti smarriti", come dico in un'altra canzone.

Le piace scrivere questi temi?

Sì, ma non sono convinto di saperli esprimere bene. Ho sempre il dubbio di essere più interessante quando parlo che quando scrivo.

Intervista di Renato Tortarolo – IL SECOLO XIX – 29704/2004



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