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Perlasca, l'uomo che sfidò Hitler |
Tra dieci giorni, milioni di italiani conosceranno il nome di Giorgio Perlasca. E' la potenza della televisione. In occasione del giorno della memoria, la rete uno della Rai, alle nove di sera manderà in onda la sua storia, il giorno 28 e il giorno 29 gennaio. Mi piace il titolo del film: Perlasca. Mi piace il sottotitolo: un eroe italiano. E sono tronfio di contentezza che il film sia tratto dal mio libro La banalità del bene. Giorgio Perlasca è morto a 82 anni, nel giorno di Ferragosto nel 1992, a Padova. Un infarto. Migliaia di persone parteciparono ai suoi funerali nonostante le ferie, centinaia di telegrammi arrivarono alla sua famiglia, da tutto il mondo. Era, all'epoca, Grand'Ufficiale e Commendatore della repubblica, Giusto tra i Giusti di Yad Vashem, cittadino onorario di Israele, stella d'Oro del parlamento ungherese, membro onorario dell'Holocaust Memorial Council di Washington e del comitato Raul Wallemberg di New York, commendatore dell'Ordine di Isabella la Cattolica per decreto del Re di Spagna Juan Carlos (mi ricordo che quando ricevete questo premio a Roma, nella splendida sede della legazione spagnola al Gianicolo, Giorgio Perlasca ringraziò in perfetto spagnolo, ricordò che tutto quanto aveva fatto, lo aveva fatto sotto le insegna della Spagna e, con un sorriso, commentò: Però Isabella la Cattolica fu quella che cacciò gli ebrei dalla Spagna). Quando conobbi Giorgio Perlasca, abitava in Via Guglielmo Marconi 13, a Padova. Era l'inizio del 1990 e aveva ottant'anni. Era seduto nel salotto di una casa molto modesta e mi raccontò le ragioni per cui molti si stavano interessando a lui. Era successo che, più o meno mezzo secolo prima, lui, giovane commerciante di carni per conto del governo italiano, si trovasse a Budapest. Era successo l'8 settembre del 1943 e lui, insieme ad altri componenti della comunità italiana in Ungheria, si era schierato per il Re e Badoglio. Lo avevano internato, era fuggito dall'internamento, si era rifugiato nei locali dell'ambasciata spagnola. Qui lo avevano trattato bene, perché Giorgio Perlasca aveva ottime credenziali: era stato uno degli ottantamila combattenti italiani per Franco contro la Repubblica. Gli diedero un passaporto falso, con il nome di Jorge Perlasca e un lavoro all'ambasciata che essendo la Spagna neutrale consisteva anche in un'opera umanitaria in favore degli ebrei ungheresi, specie se di ascendenza spagnola. Mi ricordo benissimo quei primi incontri: il vecchio signore ricordava tutto. Ricordava che all'inizio di dicembre del 1944, in una città alla fame, governata dal partito filonazista ungherese, campo d'azione delle scientifiche operazioni di deportazione di Adolf Eichmann, si trovò nell'ambasciata deserta perché i diplomatici veri avevano lasciato il terreno. E lì, quell'italiano con falso passaporto spagnolo decise di autonominarsi nuovo console di Spagna e di usare del suo status diplomatico. Protesse più di cinquemila ebrei in sette case protette dalla Spagna; organizzò la loro resistenza; trovò soldi e cibo; trattò da vero diplomatico con i nazisti; falsificò certificati, firmò carte ufficiali, trattò la liberazione di prigionieri. Terminò il suo lavoro all'arrivo dell'Armata Rossa in città; i sovietici lo misero ai lavori forzati perché spagnolo e fascista. Dopo otto mesi riuscì a tornare in Italia, dove provò a raccontare quello che era successo ma nessuno gli credette. Ora, all'inizio del 1990, diverse decine di ebrei che lui aveva salvato, lo avevano scoperto e fatto diventare famoso. Il film che vedrete racconta questa storia. E' stato tutto girato a Budapest da Alberto Negrin, con la sceneggiatura di Stefano Rulli e Sandro Petraglia. Luca Zingaretti è Perlasca e passa dall'azione, allo spavento, alla disperazione, all'impostura, alla luce negli occhi quando scopre di riuscire a fare quello che vuole fare, con il passo della tradizione dei grandi attori italiani. Perlasca era uno sconosciuto. Divenne noto quando Giovanni Minoli gli dedicò una famosa puntata di Mixer. Divenne un eroe di carta con il libro. Oggi va sugli schermi, per me con grandissima emozione. Scrivere il libro su di lui è stato per me molto bello. Partecipare a farlo diventare un film, ancora di più. Anche perché un film è una cosa grossa, muove soldi, persone, organizzazione. Carlo Degli Esposti, che lo ha prodotto insieme alla Rai, ci lavora da dieci anni. E così i nostri amici Gad Castel e Aaron Sipos. Dieci anni fa Tony Curtis si era interessato a Perlasca. Tony Curtis si chiama in realtà Schwarz ed è un ebreo ungherese che si molto è adoperato, una volta diventato ricco e famoso, perché fosse mantenuta la memoria degli ebrei ungheresi annichiliti dall' Olocausto. Ha finanziato, tra l'altro, la ricostruzione della grande sinagoga di via Dohany, che era uno dei grandi vanti dell'ebraismo europeo. Gli telefonammo e gli chiedemmo consigli su come trasformare la sua storia in un film. Lui non ebbe dubbi Azione, solo azione. Un uomo solo contro tutta la città. Un gentleman che agisce, questo è il film su Perlasca. Il film è così, mozzafiato. La produzione ha ancora trovato la città come era allora, con le case protette per nulla cambiate; le strade con i lampioni di allora, il carbone nelle cantine; il gelo dell'inverno, il Danubio ghiacciato dentro il quale i nazisti buttavano gli ebrei, legandoli in coppia con il filo di ferro e sparando una sola pallottola per risparmiare. C'è ancora lo scalo merci da dove partivano i treni per Auschwitz e dove Perlasca, affiancato da due gendarmi che reggevano la bandiera della Spagna neutrale, strappò centinaia di deportati dalle mani di Adolf Eichmann. Durante le riprese, molte volte sono partiti applausi. I caratteristi e le comparse ungheresi (in molte scene ce ne sono quasi mille in campo) hanno messo un di più nell'interpretare quello che furono i loro padri o i loro fratelli maggiori. Le camiciaie hanno ricucito le divise, comprese quelle con gli alamari degli studenti dei licei di Budapest. Molti di quei ragazzi arrivarono ad Auschwitz indossando l'uniforme. Giorgio Perlasca arriverà nelle vostre case tra dieci giorni. I miei amici mi chiedono se è un film adatto anche ai bambini; io dico di sì. I bambini furono protagonisti di tutta quella storia, praticamente bambine furono le signore che dopo cinquant'anni si ricordano di quell'italiano che le salvò. Poi si dovrà discutere se Perlasca fu il più grande eroe italiano della guerra, se è stato più grande di Schindler, perché lo fece, perché solo lui lo fece, che cosa c'entra la politica con quello che ha fatto. Quanto noi italiani riusciamo, più di altri, ad essere umani, quando ci riusciamo. Quanto riusciamo a farci beffe delle divise, delle autorità, quanto abbiamo il gusto per il rischio. E' questo il compito della televisione. Per quanto riguarda il vero Perlasca, la prima volta che lo incontrai a Padova e gli chiesi perché l'aveva fatto, mi rispose con estrema tranquillità: Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?. E poi aggiunse: Dalle nostre parti si dice che l'occasione fa l'uomo ladro, di me ha fatto un'altra cosa. Perlasca mi disse che in quei cento giorni in cui resse la parte del console spagnolo sempre si vestì da diplomatico, con il bastone e il cappello e che un giorno, in piena deportazione, andò allo stadio a vedere, come decine di migliaia di altri ungheresi, una partita di calcio. Mi raccontò che quando tornò a Budapest per essere premiato scappò dal protocollo e andò a vedere le sue case e riconobbe tutto. Mi disse che lo fece anche perché, certe volte, passeggiando nel parco da pensionato, gli veniva in mente che forse non era vero quello che successe, che forse era una sua invenzione. E invece era tutto vero. La bellezza del film è che è molto realista. Enrico Deaglio L'UNITA' 19/01/2002 |
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