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Facciamo sul serio? Sono qui |
Il concerto del 2004 per i paesi più poveri della Terra, l'evento di tre giorni lanciato dal Secolo XIX, raccoglie ogni giorno nuove testimonianze. Oggi parla Pino Daniele, impegnato nel tour con Francesco De Gregori, Ron e Fiorella Mannoia. Il cantautore napoletano è stato spesso protagonista di show umanitari. Daniele, cosa pensa di questo progetto? Se è qualcosa di concreto, organizzato in una maniera seria e c'è la sicurezza che tutto vine devoluto a questo progetto, dico subito di sì. Ho già parlato a iniziative del genere, poi finiva a tarallucci e vino, la solita storia. Ma se questa volta si fa sul serio, ci sto anch'io. La musica in prima linea? Sì, oltre la politica. Da destra o sinistra, ci si rivolge sempre alle stesse persone della cultura. I metodi sono sempre gli stessi, le operazioni sono sempre le stesse: a volte se ne appropria la sinistra, a volte la destra. Questo non significa essere qualunquisti, ma il vero potere è fare le cose. Quando c'è davvero la volontà di farlo, si fanno. Cosa intende? Non voglio spezzare una lancia per Berlusconi, ma con tutto il can can fatto dalla sinistra per azzerare il debito dei paesi più poveri, c'è voluto lui per farlo davvero a tre nazioni. A ciascuno il suo: la mia paura è che queste manifestazioni prendano poi una piega solo politica. Non nel caso di Genova, come capitale europea della cultura. In questo caso, parteciperò anch'io. Queste operazioni umanitarie non devono avere una prevalenza ideologica, di sinistra o di dstra, ma devono avere il solo colore della beneficenza. E quando succede che ci si riunisce tutti insieme per una buona causa, va interpreatato come evoluzione dei tempi, segno di una nuova socialità. Questo genere di evento s'ispira al Live aid e prima ancora i grandi raduni come Woodstock. Lei cosa ne pensa? E' un fenomeno nato negli anni '60. Anche il tour che facciamo io, De Gregori, Ron e Fiorella Mannoia s'ispira a quell'epoca. Tanti musicisti, ciascuno con il tuo set e poi tutti insieme, l'uno con la canzone dell'altro. Fa parte un po' della nostra cultura musicale, più o meno abbiamo la stessa età: io ho 48 anni, Francesco 52. Quell'epoca rock l'abbiamo vissuta tutta. Lei ricorda qualcuno di quegli eventi? Soprattutto Woodstock, ho anche lavorato con uno dei suoi protagonisti più famosi: Richie Havens. Quindi il legame con quel periodo è rimasto? Si è anche intensificato: qualche anno fa, Zucchero ha cantato alle ceòebrazioni di Woodstock, un quarto di secolo dppo. Insomma, alla fine, sono eventi che hanno segnato la nostra generazione, fanno parte della nostra storia. Certe volte, si è fatto anche campagna civile: come il megaconcerto per far liberare Nelson Mandela. Sì, il rock ha fatto molto, in ogni senso. Certo, ora la realtà è cambiata radicalmente. Sono cambiate le motivazioni, e così la musica come relazione sociale. E' cambiato il modo di diffonderla. Voglio dire: bisogna vedere quanta gente sarà disposta a seguire un nuovo appello. Lei si è battuto spessi per i paesi più poveri, anche artisticamente. Sì, ho cercato di rimanere coerente. Anche solo sul piano artistico. La scrittrice Nadine Gordimer dice che l'Africa non vuole più elemosine. Sono d'accordissimo, mi sembra che abbia centrato il problema. Però lei crede in una tre giorni di musica per quei paesi. Perché la speranza di fare qualcosa deve rimanere intatta. Da un punto di vista internazionale si sta facendo tanto, anche se c'è questa situazione mediorientale che è molto critica. E' questo quello che preoccupa: purtroppo nella storia degli uomini i disastri ci sono sempre stati. Però se cercassimo di vivere su questo pianeta in maniera più civile e intelligente, le cose potrebbero andare meglio. Speriamo che la musica aiuti, come tutte le forme d'arte. C'è una sua canzone più universale di altre? Non saprei, ma legata a questo tema, alla speranza di risurrezione, direi proprio Africa, interpretata con Salif Keita. Credo sia importante perché fa capire tante cose, senza essere retorica o usare frasi melense, quindi inutili. Intervista di Renato Tortarolo IL SECOLO XIX 30/06/2002 |
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