Pino Daniele non sarà
questa sera al "Tenco". Era fra gli ospiti più
attesi, ma durante le prove del tour invernale, ispirato
all'ultimo album "Passi d'autore" che debutterà
il 5 novembre al Carlo Felice di Genova, si è influenzato:
Mi spiace perché al Tenco non ci andavo da molti
anni - spiega - anche se mi è sempre rimasto nell'anima e
mi appartiene per scelte e per stile.
La
canzone d'autore è cambiata?
Molto,
perché è cambiato il modo di comunicare. C'è
una canzone ancora legata a tradizione e radici di questo paese,
e un'altra che invece vive in balia di radio e tv.
Lei
a quale appartiene?
A
quella della radici, ma ultimamente sto attingendo alla musica
classica. Studio chitarra e madrigali. Sono affascinato da
Palestrina e Gesualdo da Venosa, dalle arie sacre e Brahms rimane
unico. Purtroppo, oggi la musica è massificata, sfruttata
come intrattenimento, risucchiata dai telefonini. E questo perché
qualsiasi fenomeno artistico fa pensare, e il sistema cerca di
affossarlo o impadronirsene per manipolarti.
E
lei come si è difeso?
Mi
difendo tutti i giorni, ma non sono ottimista. La mia generazione
aveva dei punti di riferimento, anche in musica, ma è
saltato tutto. La crisi discografica, poi, ha ucciso la
creatività per mancanza di soldi.
Però
lei non se la passa male, no?
Finché
me lo permetteranno, mi divertirò a suonare, ma
l'entusiasmo di un tempo, e non parlo del mio, è stato
sacrificato al vero padrone: l'Auditel. In questo paese ha un
potere enorme, quasi come quello politico.
Ma
lei immaginava di partire da Napoli e finire a Brahms?
Io
penso sinceramente di trovarmi a un bivio, altro che Brahms, e
devo prendere una decisione: o continuo a fare le cose in un
certo modo o accetto qualche compromesso, come andare in tv. Però
non riesco più a essere tollerante con tutto quello che
succede e mi sento un pesce fuor d'acqua.
E
come reagisce?
Per
fortuna, riesco ancora a suonare la chitarra, fare musica e
riempire i teatri. Finché sarà così andrà
bene, poi non lo so.
È
vero che lei studia tutti i santi giorni chitarra e voce?
Sì
perché alla musica, come alla famiglia, ho dedicato tutta
la vita. E poi c'è un altro valore fondamentale: non
prendere in giro la gente. Ci si divertiva anche nel Medioevo, ma
oggi fare musica vera comporta sacrificio: devi lavorare il
doppio per guadagnare di meno. E poi trovi certi cantanti che si
vestono da star e senza tv sono delle nullità. Ecco,
questo mondo non m'interessa.
Quanto
incide la famiglia?
Moltissimo,
più che un rifugio è condividere con altre persone
la vita: un conto è affrontarla da solo, un altro dividere
le tue sensazioni.
Prince
scrive una canzone al giorno. Una buona media?
Magari,
ma non può essere un esempio, perché lui è
il numero uno. Diciamo che ogni artista ha il suo percorso e deve
proteggersi dalla futilità.
A
Genova suonerà"Medina" sulla cultura
araba?
Sì
e volevo suonarla proprio al Carlo Felice: è un posto
meraviglioso, fantastico.
La
scelta di "Medina"è un segnale di
distensione?
Di
comprensione per un'altra cultura, che non deve subire gli
effetti di quello che succede nel mondo. Canto l'identità
di un popolo, il suo modo di vivere, ma non faccio politica.
Perché i politici hanno fede soltanto nel loro potere, di
qualsiasi schieramento. Io, invece, rispetto la storia e la
civiltà degli altri.
Venditti
applaude gli extracomunitari che vendono dischi taroccati. Che ne
dice lei ch'è fra i più"piratati"?
Che
fanno bene. A me interessa il rapporto umano, e poi chi vuole la
qualità si compra il disco buono, non quello taroccato.
Sono una vittima di questa pirateria, ma come posso arrabbiarmi
con loro?.
Cose
che dice sul palco?
Fino
a un certo punto: non faccio mai quello che la gente si aspetta
da me. Tantomeno ciò che vorrebbe. Come dice un amico
genovese, non ho la sindrome del genio.
Intervista di
Renato Tortarolo IL SECOLO XIX 30/10/2004
|